La penna degli Altri 19/02/2017 15:34
Non più trotto ma degrado. Dilemma: cemento o il nulla
Tor di Valle sabato al tramonto ci fa pensare a una fiction poliziesca o a una storia di periferia estrema o surreale, un incrocio fra Rocco Schiavone e Jeeg Robot, fra sentieri nascosti, scheletri di casali, buche formato voragine. Mucchi di spazzatura mordono la strada per diverse centinaia di metri e mettono addosso la voglia di andarsene il prima possibile. Al di là delle barriere c’è lui, il tempio del trotto di ieri e lo stadio della Roma di domani o aspirante tale. Dunque questo è il posto che fa litigare di più Roma. Sotto la stazione, lo capisci subito con una scritta che deve avere già qualche mese: «No stadio». La ferrovia è ingabbiata da una collezione di lavori in corso.
La tribuna capolavoro disegnata dall'architetto Julio Garcia Lafuente con la sua «arditezza costruttiva», le parole usate nel parere della soprintendente Eichberg per sottolinearne la necessità di tutela e il conseguente no al progetto delle impianto calcistico, per ora è solo un’immagine lontana. La prima impresa è trovare qualcuno che abbia voglia di parlare. Anzi, è trovare qualcuno. Sulla via dell’ippodromo di Tor di Valle, quella piena di sporcizia, non c’è anima viva. Ma sulla sinistra, c’è un puntino che si muove. È proprio lei, la pista ciclabile, miracolosamente ripulita. È qui che Andrea, portacolori della Cicli Roma, si diverte su due ruote. «Lo stadio? Che vi devo dire, guardate qui quanto verde c’è, se lo facessero sarebbe un macello». Non è però un no assoluto, piuttosto un punto di vista sussurrato, «bisognerebbe vedere, se riuscissero a rispettare il parco…Forse ci vorrebbe solo un po’ di pulizia». Rispetto a prima, lo sguardo incontra un paesaggio più rassicurante. C’è pure il Tevere, che qui si sta preparando a curvare.
«Ma la ciclabile di ora è tutt'altra cosa. Prima era una giungla, ci passava a stento una bicicletta, poi ad agosto la Raggi ha fatto tagliare tutte le canne e l’erba alta». Ernesto non pedala, corre a piedi: «Se facessero una cosa giusta, rispettando il parco. Certo, se poi vogliono fare i grattacieli di Dubai, allora meglio lasciar perdere». Dopo un chilometro di auto e un altro a piedi, ora siamo vicini alla tribuna, e almeno su questo la soprintendente deve avere ragione quando scrive: «La struttura è tuttora fruibile, anche per le visuali che da essa si godono, non solo dalla pista ma anche dal contesto urbano circostante». Il problema è che di là non si può andare, non si può prendere posto sotto gli 11 «ombrelli» a forma di paraboloide iperbolico finiti sulle riviste di architettura. È il momento di immaginare l’epoca d’oro di Varenne e i 22mila spettatori di una volta. Ma oggi non è più questa la fotografia, si è passati dal pienone a un vuoto, un vuoto di pochi, un vuoto che sembra in qualche modo una permanente occasione sprecata. Intanto compare Elio con i suoi due cani: «Non possono farlo, qui ci sono ancora le volpi e l’istrice, più sotto le lepri. Io ci vedrei un bel parco tipo WWF, perché non si può fare? E poi a me non piacciono i tifosi del calcio, mica sono come quelli del rugby».
(gasport)