La penna degli Altri 02/03/2011 10:23

Un po’ Sacchi un po’ Liedholm e molta furbizia

Sicuramente nella formazione tattica dell’attuale tecnico del Chelsea hanno influito molto prima le idee del Barone e poi quelle dell’uomo che ha rivoluzionato il calcio in Italia ed in Europa. E’ partito dal modulo di base della zona, , dal 4-4-2 che all’inizio della sua carriera da allenatore riteneva fosse, se non l’unico modo possibile di mettere una squadra in campo, sicuramente il migliore. Poi però Carletto si è evoluto, qualcuno potrebbe dire che si è ammorbidito. Sicuramente ha cambiato modo di approcciarsi al problema. E’ stato lui stesso a confessarlo in passato: «Quando ho iniziato ad allenare, avevo un’identità precisa che davo alle mie squadre. Non guardavo alle caratteristiche dei miei giocatori. Per i primi due anni volevo giocare con il 4-4-2». Punto e basta. E poi? «Poi ho cambiato idea alla - ha spiegato ancora - Zidane non voleva giocare a sinistra, ma al centro, così ho cambiato formazione. Non esiste un modulo vincente. Ora guardo alle caratteristiche dei giocatori e scelgo il modulo migliore per loro».

E’ probabilmente in quel momento che è passato dall’essere un tecnico preparato ad essere un grande allenatore. Alla non lo capirono, nonostante due secondi posti ad un soffio dallo scudetto (benedetto fu il secondo di quei soffi, un po’ meno il primo). Ma Carletto la sua rivincita se la prese con gli interessi a Milano. Dove sperimentò il centrocampo a rombo, il 4-3-1-2 e il modulo ad albero di Natale. Non solo. Tirò fuori dal cappello a cilindro anche un colpo di genio. Fu lui che trasformò Pirlo da eterna promessa a faro del centrocampo della squadra campione d’Italia, d’Europa e del mondo. Andrea Pirlo, ovvero il giocatore dalla faccia triste che l’Inter aveva lasciato andare via senza tanti rimpianti e che lì davanti, da numero dieci, non riusciva proprio a sfondare.

Lui lo prese e lo spostò indietro di qualche decina di metri consegnandogli le chiavi del gioco rossonero. Il resto della storia la conosciamo bene. Poi il grande salto, verso l’Inghilterra, verso un modo completamente diverso di vivere la vita ed il calcio. si è adattato. A Stamford Bridge è capitato nel momento più unico che raro in cui Abramovich non aveva possibilità di comprare perché il Tas aveva bloccato il mercato dei Blues a causa dell’affare che aveva portato all’ingaggio del francese Gael Kakuta.

Ma il tecnico di Reggiolo non ha fatto una grinza, ed ha msso in fila una vittoria nella Premier League, una in Coppa d’Inghilterra e una nella Community Shield. Ma soprattutto è riuscito a rivitalizzare un lungo elenco di giocatori che sembravano spremuti. Un cammino non sempre facile, perché prima di trovare l’assetto ideale ci ha messo un po’. Il primo Chelsea provò a giocare a rombo con Lampard vertice alto e non andò molto bene perché mancava (e manca tuttora) un vero trequartista.

Col passaggio al 4-3-2-1, e poi al , le cose si sono messe a posto, anche perché in questo modo è riuscito a rivitalizzare due giocatori che sembravano persi: Malouda (che al primo anno in Inghilterra aveva stradeluso) ed Anelka (che in molti davano come destinato ad un lento declino). Con loro due alle spalle di Drogba, il Chelsea è tornato a volare. Fino a qualche mese fa. Poi? Poi è stato allontanato l’ex rossonero Ray Wilkins («l’amico senza il quale non avremmo vinto nulla» aveva detto di lui ) e l’incantesimo sembra essersi rotto. E neppure l’arrivo di Fernando Torres (ancora non è stato trovato l’assetto giusto per valorizzare sia lo spagnolo sia Drogba) è riuscito a mettere le cose a posto. Almeno fino a ieri, fino alla vittoria sul Manchester. Manca ancora tanto alla fine della stagione, il Chelsea ha da inseguire il sogno (ha già un piede nei quarti dopo la vittoria 2-0 a Copenaghen). Poi il sogno potrebbe diventare un altro: «Credo e spero che prima o poi quello di allenare la Roma si avvererà» ha detto a "Il Romanista". Prima o poi. Forse quel poi non è più tanto lontano.