Romanisti di Roma 28/12/2008 02:32

BORGO PIO E ATTILIO FERRARIS IV

Il territorio di Borgo durante il periodo romano era chiamato Ager Vaticanus, a causa dei vaticini che gli Auguri etruschi colà eseguivano.

L'avvenimento che cambiò per sempre il destino della zona, fu il martirio di San Pietro ai piedi del colle Vaticano nel ‘67, durante la prima persecuzione dei Cristiani. Il Santo fu sepolto nelle vicinanze, e questo fece del Vaticano un luogo di pellegrinaggio. Durante il Medioevo il quartiere era scarsamente popolato, con case sparse, alcune chiese e molti orti. La nuova vita di Borgo inizia con il Rinascimento, quando il centro di gravità di Roma iniziava a spostarsi dalla zona intorno al Campidoglio. Nello stesso periodo, i Papi abbandonarono finalmente il complesso Lateranense per il Vaticano, il quale divenne il nuovo centro di potere della Chiesa. L'intensa attività edilizia, e soprattutto la ricostruzione di San Pietro, che fu il risultato finale di questo spostamento, attrasse in Borgo diversi artisti, mentre il rinnovato flusso di pellegrini stimolò il commercio. L'età d'oro di Borgo raggiunse il suo apogeo durante il regno dei due Papi fiorentini, Leone X e Clemente VII, entrambi Medici. Gli artisti più importanti (come Raffaello) acquistarono o costruirono le loro abitazioni in Borgo.

Secondo evento epocale del quartiere fu la demolizione della cosiddetta “spina” nel 1936. In quell'anno il progetto di demolizione, degli architetti romani Marcello Piacentini e Attilio Spaccarelli, venne approvato da Mussolini e Pio XI e posto in esecuzione. 23 ottobre 1936 (il giorno dopo l'anniversario della Marcia su Roma), il Duce stesso, in piedi su un tetto della spina, dette il primo colpo di piccone. L'8 ottobre 1937 (meno di un anno dopo), la spina aveva cessato di esistere, e San Pietro era liberamente visibile da Castel Sant'Angelo.

E sicuramente il nostro protagonista visse appieno questo passaggio architettonico e sociale. Attilio Ferraris IV era nato il 26 marzo del 1904 proprio in quel di Borgo Pio, dove tirò ovviamente i primi calci al pallone. Cominciò a giocare nel quartiere Prati, al campo dell’istituto “Pio X”, nei pressi di Castel Sant’Angelo, con la squadra della Fortitudo (che poi sarà una delle tre società che confluiranno nell’as Roma) di fratel Porfilio e nella quale, più tardi, si esibì anche il mitico Renato Rascel, suo amico.

Suo padre gestiva una bottega di riparazioni di bambole, dalle parti di via Cola di Rienzo. Generosissimo, malgrado il fumo e il poker, se azzeccava la gara giusta, faceva penare qualsiasi avversario. Del resto, non aveva mezze misure, o migliore in campo o niente. Preferiva le donne agli allenamenti, ma era dotato di un fisico che gli permetteva di ben figurare ugualmente. Durante un match del ’31, contro il Casale, nell’intervallo, strigliò i suoi compagni con un “Dateve da fa, fiji de ‘na mignotta!”. Bel ragazzo, dal carattere esuberante, fu anche un dannato play boy (Claudio Amendola lo ha interpretato negli anni novanta, in uno sceneggiato televisivo sui mondiali di Roma del ’34, scritto da Lino Cascioli), per tenerlo un po’ a freno, il presidente Sacerdoti gli aprì un bar in via Cola di Rienzo, dove si vendevano anche i biglietti della partita, bar che lui più che altro ignorò. Nel 1927 cominciò la sua straordinaria avventura nella Roma, con la quale avrebbe giocato fino al 1934 e poi nella stagione 1938-'39. Per 217 volte fu il capitano dei giallorossi (solo Losi, Giannini e hanno fatto meglio), il “biondino di Borgo Pio” incarnava alla grande lo spirito e l’anima di quella Roma testaccina, tutto cuore, sudore e abnegazione verso la Maglia Giallorosa. Dopo una grandissima partita in nazionale (tra l’altro fu il primo giallorosso ad essere convocato in nazionale) contro l’Inghilterra gli fu anche affibbiato l’appellativo di "Leone di Highbury" (dal nome dello stadio londinese ubicato all'Highbury Park).


Giocò 28 partite in maglia azzurra. A Pozzo, pur di partecipare alle partite della coppa Rimet promise di smettere di fumare (non smise mai, però in quel periodo scese da quaranta, più il resto, a due sigarette al giorno). Vinse quel campionato del mondo del 1934 schierato nel ruolo di laterale da Vittorio Pozzo.


A fine carriera passò prima al Bari, poi alla Lazio, con scarsi risultati e con i tifosi giallorossi che non gli lesinarono critiche e sfottò. Giocò il primo derby da biancoceleste il 19 novembre 1934. Quindi scese a giocare a Bari per poi tornare a indossare i colori del suo grande amore. Una sola stagione e giù a Catania, in serie B.

Indossando la maglia dell'Elettronica, giocò fino all'età di quarant'anni, quando subì una a vita per aver picchiato un arbitro.


Morì proprio su un campo di calcio. L'8 maggio 1947 a Montecatini, , durante una partita tra vecchie glorie. La sua tomba al cimitero monumentale del Verano riporta la lapide Attilio Ferraris - Campione del Mondo. Durante il funerale, che si tenne a Via della Conciliazione, lesse un commovente necrologio.


Summa del personaggio è il famoso giuramento che, prima di entrare in campo, imponeva ai neogiallorossi. Con il pallone tra le mani dovevano recitare insieme a lui:”Chi da’ ‘a lotta desiste fa ‘na fine mooorto triste, chi desiste da’ ‘a lotta è ‘n gran fijo de ‘na mignotta!”.