La penna degli Altri 20/02/2025 13:34

Rizzitelli: "Alla Roma serve un bomber, mi aspettavo di più da Dovbyk. Pellegrini? Lo vedo spento, spero si riprenda. Dopo Ranieri vorrei Ancelotti"

ruggiero rizzitelli

IL ROMANISTA (I. SAVELLI) - Ruggiero Rizzitelli, ex calciatore della Roma, ha rilasciato un'intervista al quotidiano a tinte giallorosse e tra i vari temi trattati si è soffermato sulla sua avventura nel club capitolino, su Lorenzo Pellegrini e Artem Dovbyk e sul futuro allenatore. Ecco le sue parole.

Tutti dicono che il calcio è cambiato...
«Assolutamente, è cambiato tutto. Ai miei tempi il presidente era tifoso, era presente, era il padre, era la persona che aveva le chiavi di Trigoria e metteva a posto, spegneva la luce. Ho detto tutto in poche parole, non credo si debba aggiungere altro. Quando vedi un presidente che ti spegne la luce, è come quando papà ti sgrida perché stai consumando inutilmente. Tutte cose oggi impensabili». [...]

Il tuo primo anno con la Roma di Radice al Flaminio e un’alchimia speciale con i tifosi.
«Viola aveva fatto con Ottavio Bianchi ma il Napoli non gli ha dato il nulla osta, così è arrivato il mitico Gigi Radice ed è stato amore a prima vista. Lui, il pubblico, la squadra, i tifosi, la società. E poi il catino del Flaminio che diventò quello che aspettiamo da anni, lo stadio della Roma. Senza pista, con la gente che era veramente attaccata e ci trascinava, non si sentivano solo le urla ma anche i respiri, i nostri e quelli della gente sugli spalti. Ci siamo esaltati uno con l’altro, Radice è diventato un super tifoso, fu una stagione bellissima. Bellissima».

L’anno dopo avete provato a convincere Viola a tenere Radice?
«No, perché c’era già un contratto in essere con Bianchi. Ma siccome si era creata questa simbiosi incredibile tra allenatore, giocatori e staff, eravamo tutti amici nel senso profondo del termine, Radice nonostante avesse tantissime richieste, non firmava con nessuno perché era della Roma e voleva restare a Roma. Mi ricordo che d’estate mi chiamò Cazzaniga, il suo secondo, per chiedermi di aiutarlo a convincere Gigi ad accettare il fatto che la Roma aveva un nuovo allenatore. Capisci che pazzia per la Roma avesse travolto Radice? Accettò un’altra squadra solo dopo la presentazione di Bianchi, pensa com’era quel calcio, quanta passione aveva dentro».

Il gol nel derby arriva nella stagione 91-92, pareggi quello di Riedle. Te lo ricordi naturalmente.
«Madonna se me lo ricordo... Ormai ero diventato tifoso della Roma quindi non mi sembrava più di essere un calciatore, ma uno della curva sud. Sappiamo tutti che quando perdi un derby il giorno dopo stai rinchiuso in casa, non vai nemmeno a lavorare. Vedevo che l’orologio andava avanti, i minuti passavano. Ti giuro, dentro al campo mi sono detto: “Domani tutta quella gente non va in giro a farsi deridere”. Poi è arrivata questa palla a campanile di Tommasino Haessler e ho saltato più di Bergodi che mi dava 20 centimetri: è stato il gol di un tifoso che libera gli altri tifosi e permette loro di riprendere la vita normale. Noi eravamo così, se perdevi il derby non si usciva di casa».

Hai vissuto lo stadio intero che fischiava Mihajlovic, ora sta accadendo una cosa simile a Pellegrini.
«Fa parte del calcio e in questi casi solo il giocatore puoi venirne fuori. Anche io ho affrontato momenti critici nei quali la gente contestava, ti può essere d’aiuto lo spogliatoio, un abbraccio di un compagno, ma se ne esce da soli e quello che decide è il campo. La gente ti valuta per quello che dimostri in partita».

Secondo te il suo ciclo è finito?
«Non lo so, sembrerebbe di sì, però nel calcio basta veramente poco per cambiare tutto. Mi auguro che Pellegrini romano, capitano della Roma, tifoso della Roma, faccia vedere che ha voglia di rimanere, di ribaltare la situazione facendo quello che fino ad ora, purtroppo, non ha fatto. Io lo vedo spento nelle movenze, nella faccia, nello sguardo, sembra quasi si sia rassegnato e non è una bella cosa».

Hai raccontato tante volte dei problemi con Mazzone ma prima di andare via lo hai aiutato parecchio.
«Ecco, come ti dicevo in poche partite può cambiare tutto. Io ero fuori rosa poi a un certo punto Sensi ci chiama entrambi e ci dice: “Non esiste Rizzitelli, non esiste Mazzone, c’è solo la Roma, poi a fine anno ognuno per la sua strada”. Non aspettavo altro e in quattro, cinque partite ho fatto tre o quattro gol e abbiamo sfiorato la qualificazione alla coppa Uefa. Ecco cosa può succedere improvvisamente non solo in un campionato, ma nella vita personale. Poi Mazzone è rimasto e io sono andato via, anche se in realtà abbiamo litigato solo una volta. Lui era sicuro che noi “senatori” decidessimo tutto, facessimo la formazione. Poteva entrare nello spogliatoio, guardare con i suoi occhi e poi giudicare; invece, ha scelto di andare a priori dietro al sentito dire e sai bene che a Roma ne girano di tutti i tipi».

Vai al Torino e diventi l’uomo derby.
«Avessi segnato a Roma tutti quei gol ero al posto del Papa, però il Toro mi ha dato tanto. Mia moglie mi diceva che ero un pazzo, che non potevo lasciare la Roma per come mi era entrata dentro, ma non c’erano le condizioni per rimanere. Sapevo che non avrei provato le stesse emozioni, ma quando ho capito con quale passione i tifosi seguissero la squadra, ho ritrovato voglia e stimoli». [...]

Mi dai il podio dei tuoi tre compagni più forti?
«Al primo posto Totti. Ora, io l’ho visto ragazzino esordire al mio posto ma Francesco mi dava già l’impressione di essere un campione perché oltre alle qualità tecniche, aveva una personalità incredibile. A quell’epoca ai primavera che il giovedì facevano la partitella con la prima squadra correndo di qua e di là, i vari Oddi, Nela, Manfredonia, Collovati, davano delle randellate incredibili, uno ringhiava e l’altro li alzava. Li minacciavano e l’allenatore non diceva nulla perché c’era il nonnismo, come tra i militari. Beh, l’unico che se ne fregava, che faceva dribbling, giocate, tunnel su tunnel, era Totti. Più gli menavano, più continuava senza alcuna paura. Come dicono i napoletani aveva la cazzimma ed è arrivato dove sappiamo. Al secondo posto metto Rudi Voeller che è stato campione in tutti i sensi, non solo del mondo. Io che ero ragazzo correvo per lui, ma quando ero stanco con i crampi anche al cervello, lui mi guardava e mi diceva: “Ruggiero, adesso corro io per te, vai avanti”. Capisci? Invece che rivolgersi all’allenatore per dirgli di sostituirmi, mi faceva stare quei 5-6 minuti davanti per respirare. Un grandissimo, uno di quei giocatori che ti esaltano veramente. E poi metto il nostro Bruno Conti, ragazzi che fenomeno. Io che ero uscito di casa con le bandiere dell’Italia sull’auto scoperta dopo la finale di Spagna ’82, me lo sono trovato nello spogliatoio. Ti giuro, all’inizio gli davo del lei perché oh, Bruno Conti il campione del mondo è mio compagno di squadra. È una delle cose bellissime che mi porto dentro».

Che giocatore serve assolutamente alla Roma l’anno prossimo?
«Un bomber, perché da Dovbyk mi aspettavo molto più. All’inizio non aveva fatto neanche tanto male, ma ora mi sembra un pesce fuori dall’acqua: non partecipa, non si fa vedere, non dà profondità, non è cattivo. Shomurodov che ha molte meno qualità, lotta, combatte, quando entra ci mette l’anima, cose che non vedo in Dovbyk. Mi dispiace, ma lì davanti ci serve qualcuno che sia un leader e faccia venti gol, perché puoi giocare bene al calcio quanto ti pare, però se non la butti dentro non vai da nessuna parte».

Al nuovo allenatore ci hai pensato?
«Veramente no, ma intanto diciamo grazie a Ranieri perché si è preso questa patata bollente e ne sta venendo fuori alla grande, guarda che io ero veramente preoccupato per come stavano andando le cose. Poi se devo dire un nome tra quelli che sento circolare, dico Ancelotti che è un grande allenatore e conosce Roma. Ma attenzione, per fare una grande squadra servono grandi giocatori, altrimenti anche Ancelotti dopo tre mesi verrebbe contestato».

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