La penna degli Altri 26/02/2023 10:21
Calciatori minacciati e scontri: il tifo è ancora troppo violento
La pericolosità degli ultras è di nuovo un tema d'attualità dagli scontri tra i tifosi romanisti e napoletani che, lo scorso 8 gennaio, hanno trasformato l'autostrada del Sole in un campo di battaglia. In attesa di individuare i responsabili, il ministero dell'Interno ha deciso di sospendere per due mesi le trasferte delle due tifoserie.
Napoletani e romanisti torneranno a viaggiare da metà marzo, ma la loro battaglia prosegue a distanza e preoccupa chi deve garantire la sicurezza negli stadi e fuori. Il 4 febbraio un plotone armato di ultras serbi della Stella Rossa, che si trovava in Italia per seguire due partite dell'Eurolega di basket, ha rubato vari striscioni dello storico gruppo romanista dei Fedayn, fondato negli anni Settanta nel quartiere popolare del Quadraro. I serbi sapevano dove trovarli e hanno aspettato vicino allo stadio Olimpico - a piazza Mancini - i tifosi che stavano tornando a casa dopo Roma-Empoli e portavano dentro un borsone gli striscioni.
Gli ultras della Stella Rossa sono alleati con quelli del Napoli e potrebbe quindi esserci un collegamento con l'episodio dell'8 gennaio. Gli striscioni rubati ai Fedayn sono poi comparsi, capovolti, nella curva della Stella Rossa e sono stati bruciati, come si usa fare nel mondo ultras per rivendicare "il bottino di guerra". I serbi hanno accompagnato la macabra cerimonia scrivendo su uno striscione: «Hai scelto gli amici sbagliati».
Il raid subito dai romanisti ha creato parecchia agitazione all'interno dell'intero movimento delle tifoserie organizzate italiane. Tra accuse di tradimenti e promesse di vendetta, i Fedayn non hanno partecipato alla trasferta della Roma a Salisburgo e sono tornati all'Olimpico domenica scorsa per la partita con il Verona. Gli altri gruppi hanno reso omaggio ai Fedayn, rimanendo in silenzio per i primi 75 minuti della gara. Un gesto di rispetto, interrotto solo per cantare ogni tanto i cori più famosi dei Fedayn. Si temeva una resa dei conti con altri ultras della curva ma, nonostante un'atmosfera tesa, tutto è filato liscio anche nella partita di ritorno contro gli austriaci all'Olimpico.
Al fianco della cronaca l'ultimo rapporto dell'Associazione italiana calciatori ha riportato l'attenzione su un altro lato della stessa medaglia. Anche «giocatori - si legge nel report - sono tornati a essere oggetto di insulti, minacce e intimidazioni». Nella scorsa stagione, la 2021/22, sono stati segnalati 121 episodi, ma il dato è parziale perché non svela il sommerso. «Tutto questo non è normale», sottolinea il sindacato dei calciatori.
La novità è che il 68 per cento delle minacce e delle intimidazioni dei tifosi ha riguardato i calciatori del principale campionato italiano. Ma il problema continua a interessare anche i dilettanti e i campionati giovanili.
I giocatori vengono presi di mira singolarmente (nell'83 per cento dei casi) più che come squadra, quando sono indifesi. Non solo cori e insulti dentro gli stadi, striscioni o scritte sui muri: qualcuno di loro è stato inseguito fin sotto casa, come è accaduto ad esempio a Nicolò Zaniolo e Rick Karsdorp della Roma, accusati rispettivamente di «non voler più vestire la maglia della squadra» e di essere «un traditore» da José Mourinho. Entrambi hanno presentato alle autorità una denuncia contro ignoti, Zaniolo nel frattempo è andato a giocare a Istanbul, al Galatasaray, mentre Karsdorp è stato perdonato dal suo allenatore («Ho usato un termine esagerato», ha ammesso Mourinho) e dalla Roma, ma ha dovuto dichiarare che il suo avvocato e il sindacato mondiale dei calciatori - che lo avevano difeso - «non stavano parlando in mio nome».
I motivi principali per cui i calciatori vengono bersagliati dai tifosi sono le loro prestazioni, il razzismo e perché cambiano club o provano a farlo. In un caso su tre le minacce e le intimidazioni provengono dai propri tifosi e non da quelli avversari. I calciatori di colore sono il primo bersaglio negli episodi di razzismo (39 per cento). E gli italiani? Per loro l'insulto più comune è legato alla provenienza dalle regioni meridionali. C'è poi il capitolo social network, dove chiunque può nascondersi dietro un profilo falso e offendere o spaventare un personaggio pubblico.
Una sensazione generale di impunità è percepita dai vertici dello sport italiano. «Il Daspo non basta più, serve la certezza della pena», hanno detto il ministro per lo Sport e i giovani, Andrea Abodi, e il presidente della Figc Gabriele Gravina. Gli scontri dello scorso gennaio hanno generato una riflessione condivisa col Viminale sull'inefficacia del Daspo. Ci sono "daspati" che subito dopo aver firmato si mettono comunque in viaggio per partecipare alla trasferta, anche se non potranno (in teoria) entrare allo stadio.
Gravina ha sottolineato anche le aggressioni subite dagli arbitri, in netto aumento: durante la stagione in corso sono già stati superati i 150 casi - otto dei quali contro donne - e sono cresciuti i giorni di prognosi complessivi riportati dai direttori di gara feriti. Per quanto riguarda gli allenatori, anche per loro gli insulti non mancano, ma c'è un paradosso che li avvantaggia: quando vengono esonerati, l'attenzione si sposta. A prendersi i soldi, ma pure le minacce dei tifosi, rimangono i giocatori.
(Domani)