La penna degli Altri 26/05/2022 10:07

IL PUNTO DEL GIOVEDÌ - ZAZZARONI: «Una coppa chiamata José» - CARMELLINI: «L'uomo giusto per costruire il futuro» - SCONCERTI: «Tirana può essere solo l'inizio»

IL PUNTO DEL LUNEDI

LAROMA24.IT - Il giorno del trionfo e della festa. Passata la tensione della vigilia, la Roma conquista la sua prima coppa europea. Battuto 1-0 il Feyenoord in un'esplosione di gioia che ha ridotto le distanze da Tirana all'Olimpico. L'epilogo migliore di una stagione che segna l'anno zero da cui ripartire per i giallorossi.

Ecco i commenti di alcuni degli opinionisti più importanti della stampa, pubblicati sulle colonne dei quotidiani oggi in edicola.


CORRIERE DELLA SERA (M. SCONCERTI) 

Non è stata una bella partita, ma è stata una grande vittoria. Questa Coppa è all’esordio, difficile valutarne la profondità. Siamo abituati a un altro tipo di notti europee. Ma come spesso le finali, anche questa è stata soprattutto tattica. La Roma l’ha vinta alla Mourinho, niente concesso al palleggio, molto tattici anche gli uomini di talento come Pellegrini e Abraham, ma una forza di gruppo intensa e una chiave di gioco molto precisa.

Una Roma umile, anche affannata, spesso con l’ombra della stanchezza addosso, ma sempre dentro la vittoria. Il risultato è meritato, il percorso totale della Conference è stato deciso, forte, soprattutto dopo la deriva autunnale nell’estremo nord della Norvegia. Questo è un successo su cui cominciare un futuro. C’è una maturità complessiva che comincia a farsi progetto. Le basi sono la serietà della proprietà e la forza indomita, a volte eccessiva, di Mourinho, il carisma terribile che mette insieme da solo gli scalini di una squadra che non gioca meglio di un anno fa, ma è molto più un complesso, un collettivo. L’intera stagione della Roma, non formidabile, quasi normale per la squadra di Roma, ha finito per aprire una strada. La Roma di Mourinho e dei Friedkin è andata adesso oltre l’emozione. Questa Coppa, qualunque cosa sia, è realtà, un salto in avanti che da tanto tempo mancava. C’entra poco il calcio italiano, non è una resurrezione, è una storia quasi privata, personale. Di una città, di giocatori, di un grande tecnico. Ma è una storia che comincia, non è finita a Tirana


IL MESSAGGERO (A. CATAPANO)

La gente romanista ieri aveva un appuntamento con la storia, la propria, per farci i conti, una volta per tutte. C'era fiducia, perché ci si sentiva protetti, ovviamente dall'ombrello di Mourinho, più ampio e rassicurante perfino di quello della Nato. Non era passato un secolo, ma 31 anni dall'ultima volta che la Roma aveva disputato una finale europea, e 61, sì sessantuno, dall'ultima, anzi dall'unica vittoria, ma era la pionieristica Coppa delle Fiere, nulla a che vedere nemmeno con questa Conference League, tanto sbeffeggiata eppure, come ricordava capitan Pellegrini alla vigilia, «meglio giocarsela sul campo che guardarla dal divano». Al resto d'Italia, per il secondo anno consecutivo, è toccato il divano, spettatori delle imprese giallorosse, le più illustri d'Italia (e la cosa, più che inorgoglirei romanisti, dovrebbe far riflettere una volta di più sullo stato di salute del calcio italiano, ma questa è un'altra storia).

Che il nostro pallone possa ripartire da questa serata, è tutto da dimostrare. Che l'Italia abbia dovuto attendere il ritorno di Mourinho per rivincere una coppa europea, dodici anni dopo la interista, dice molto dell'"integrità" professionale del tecnico portoghese ma, anche, della dimensione del nostro calcio, ormai più a suo agio nelle ristrettezze dello stadio di Tirana che nelle larghezze del Bernabeu, dove i nerazzurri sconfissero il Bayern nel 2010. Che la storia della Roma da oggi possa diventare un racconto di successi, è auspicabile per la Capitale e per il Paese, ma in realtà era già accaduto prima che la squadra scendesse in campo. E non ieri, ma giorni e mesi fa. L'intuizione vincente di Mourinho è stata comprendere al volo come ravvivare un amore via via immalinconito dai distacchi di e . Serviva una guida, un totem, un nuovo capostipite che riaccendesse l'antico fuoco: chi meglio di lui? La Roma ha vinto. Ma ben prima di ieri sera.



CORRIERE DELLO SPORT (I. ZAZZARONI)

Questa coppa si chiama José. Non Conference League, ma José, che ti fa sentire squadra, giocare da squadra, soffrire da squadra. Vincere da squadra. José che conosce la tensione, ma non la paura. José al quale non puoi dire di no e che prepara il prima, il durante, il dopo. José delle cinque finali vinte su cinque che subito dopo aver toccata la coppa ha acceso il cellulare e trovato i complimenti di e di tanti suoi ex. José di nuovo nella storia con Smalling, ma anche con Rui Patricia, Zaniolo e Pellegrini, Ibanez e Cristante, Zalewski e Abraham, che ha corso per novanta minuti praticamente senza toccare palla.

Questa Conference, questa coppa, questo titulo atteso per più di cinquemila giorni, impone ora ai Friedkin di investire in qualità per sviluppare secondo logica il discorso iniziatosi il 4 maggio 2021 con una scelta forte, anzi fortissima e spiazzante. José Mourinho è, dopo mesi, il valore tecnico più alto nella storia della Roma, un allenatore che era e resta abituato a misurarsi soltanto con i grandi traguardi. Nella sua prima stagione ha fatto case che nessun altro avrebbe saputo realizzare partendo dalla rinuncia alla sua coraggiosa intransigenza. Vorrei dire che si è accontentato, ma rischierei di risultare offensivo. L'evoluzione naturale del rapporto comporta dunque una crescita della squadra e delle ambizioni, non autorizza singolari economie di (calcio) mercato, incertezze, ritardi. Come quella che potrebbe portare alla rinuncia di Mkhitaryan, sempre più vicino aIl'. Mourinho vuole e deve restare. Con l'entusiasmo di chi sa di poter lavorare per qualcosa di serio.



IL TEMPO (T. CARMELLINI)

Se qualcuno si chiede ancora perché lo chiamano lo Special One, quanto successo ieri sera a Tirana sta li a spiegarlo. Perché c’è tutto il carisma di Mourinho, la sua capacità di trasmettere emozioni nel successo giallorosso che porta nella Capitale la prima Conference League della storia. Cinquemila giorni dopo la Roma torna ad alzare un trofeo. Quattordici anni dall’ultima coppa conquistata: la Coppa Italia, ma soprattutto mette in bacheca per la prima volta un trofeo internazionale «vero» in una finale europea che mancava da 31 anni: una vita intera. Dietro tutto questo c’è un uomo, un allenatore, un condottiero che alla faccia di tutto e tutti ha fatto ancora una volta la differenza. Del resto i numeri non mentono: mai. E non è un caso se l’ultima italiana a vincere in Europa fu proprio una squadra di Mourinho (l’ del triplete): sempre e ancora lui. Quarta coppa internazionale vinta e con quattro squadre diverse dal portoghese che ha avuto il coraggio di venire a Roma e la capacità di rimettere insieme i cocci di quel che ha trovato al suo arrivo. Un’operazione non semplice da fare in una pizza difficile come quella della Capitale con un vento sempre contro e con mezza città pronto a farti le pulci su ogni decisione che prendi. Alla fine l’ha avuta vinta lui, è riuscito a far confluire il marasma di fluidi positivi che girano intorno al club riuscendo a isolare quelli negativi non senza qualche scivolone strada facendo. Ma poi ha saputo capire, interpretare ed è sempre tornato sui suoi passi quando ha capito di aver sbagliato (sul campo e fuori) dimostrando un’intelligenza non comune. Ecco forse la sua forza è proprio questa: usare la testa, la sua testa, senza farsi influenzare da tutto quello che gli ruota attorno: dagli amici degli amici, dai venticelli malefici che soffiato all’ombra del Cupolone. Ora si gode il successo e con lui tutta la Roma che ha capito di aver imboccato la strada giusta e di avere le potenzialità di fare quel salto di qualità che tutti aspettano. I Friedkin lo sanno e adesso hanno anche trovato l’uomo giusto: c’è solo bisogno di investire per crescere ancora. Resta però una domanda che aleggia nell’aria: se questa è senza dubbio la vittoria di Mourinho, in caso di sconfitta sarebbe stato lo stesso? O sarebbe stata la sconfitta della Roma nonostante Mourinho. Il quesito resta ed è di quelli che dovrebbero far pensare il popolo giallorosso. Questo, semmai, dopo… ora la festa! Giusta, meritata quanto attesa.



CORRIERE DELLO SPORT (A. BARBANO)

Zaniolo, Smalling e Mourinho raccontano il miracolo di una gioia indicibile che, nella notte dolce, chiara e senza vento di Tirana, cade come una pioggerellina divina sul popolo giallorosso. La Roma scrive la pagina più importante della sua storia sportiva e s'intesta la rappresentanza del calcio italiano. Non solo perché è la prima squadra a vincere un titolo europeo dal lontano 2010, ma perché conquista la Conference League con un carattere straordinario che il caldo di club sembra aver dimenticato. Questo è indubitabilmente il merito di José Mourinho, il più grande motivatore sportivo  E l'esecuzione dei suoi ragazzi ha l'armonia di un'orchestra, nella quale ciascuno fa più di ciò che sa e crede di saper fare.

Guardate il ventenne Zalewski avventurarsi sicuro in percussione tra un nugolo di olandesi, e spuntarla nove volte su dieci. Guardate il crescendo di convinzione e sicurezza di Ibanez, un tempo abbonato alle distrazioni e oggi a suo agio nella parte assegnata e sintonizzato con i compagni. Guardate Cristante e Pellegrini con quanta autorevolezza assumono la responsabilità di decidere quando affondare, quando arretrare e quando aspettare. La Roma che trionfa a Tirana è un esempio di quanta il calcio sia, allo stesso tempo, un manufatto artigianale e un prodotto di altissima raffinatezza. Dove i piedi e la testa contano allo stesso modo e, soprattutto, sono obbligati a connettersi con il cuore.


GAZZETTA DELLO SPORT (A. DI CARO)

A distanza di quasi 40 anni 'Grazie Roma' può essere cantata in una versione dedicata a José Mourinho, il tecnico che ha riportato una Coppa europea in Italia dopo 12 anni e nella bacheca della Roma 61 anni dopo la Coppa delle Fiere. Quel vecchio trofeo oggi non esiste più. Questa Conference League invece è appena nata e la Roma è il primo club ad alzarla al cielo.

Questa Conference non ha il prestigio della , lo sappiamo, ma hA ugualmente una grande importanza per tutti: per l'Italia, per il club e per la città di Roma. L'Italia ha bucato purtroppo l'appuntamento Mondiale, ma questa Coppa dimostra che l'Europeo vinto questa estate non è stato un caso.

Il trofeo ha una enorme importanza per il club e per la proprietà americana dei Friedkin. La Roma è la squadra italiana che ha raggiunto in Europa i risultati più importanti negli ultimi quattro anni: una semifinale di nel 2018, una semifinale di Europa League l'anno scorso e adesso questa vittoria. È una vittoria strameritata per la famiglia Friedkin che per prendere la Roma ha speso tanto e continua a immettere una grande quantità di denaro nelle casse della società. Non parlano mai, non si conosce neanche la loro voce, ma agiscono in silenzio. E lo fanno bene. Come dimostra la scelta di portare a Roma un giovane e brillante dirigente, il g.m. Tiago Pinto, e l'unico tecnico che poteva raccogliere l'eredità di e nei cuori romanisti orfani di simboli. I

«Chi tifa per la Roma non perde mai», lo sanno, se lo ripetono, se lo tramandano i tifosi giallorossi che si meritavano questa felicità. Le lacrime di Mourinho a fine partita mostrano come e quanto si sia calato nella realtà romanista. II suo ciclo è appena cominciato e il prossimo anno la Roma sarà ai nastri di partenza con un altro spessore e convinzione: perché vincere aiuta a vincere.


IL GIORNALE (T. DAMASCELLI)

Dopo sessantuno anni la Roma alza una coppa europea. La Conference League offre a José Mourinho la gloria, lui era stato l'ultimo a consegnare un trofeo continentale a una squadra italiana, ancora lui ha ribadito di essere lo special da coppa. Due volti della Roma, prima intelligente dinanzi al calcio polveroso degli olandesi, mai pericolosi nel primo tempo e capaci, in occasione del gol romanista, di una gaffe difensiva, nella persona del mediocre austriaco Trauner che ha confezionato un pallone d'oro per Zaniolo artista di un tocco sotto di grande intuizione e stile ma, dopo troppo rattrappita a difendere il vantaggio. Nonostante l'infortunio, prevedibile, di Mkhitaryan dopo un quarto d'ora, la squadra ha tenuto comunque disciplina di gioco e saggezza in ogni ripartenza veloce, meno fornito Abraham ma azioni rapide sugli esterni con il Feyenoord in evidente affanno fisico oltre che tecnico. Nessuna difficoltà, invece, della terza linea romanista anche se Rui Patricio, in alcune occasioni, non ha offerto immagini di sicurezza nella presa. Zaniolo, oltre al gol, è stato il migliore del gruppo, nessuno può discutere la tecnica e la genialità del ragazzo, Mourinho lo ha scelto con la consapevolezza che il ragazzo, quando è in salute, può cambiare partita e risultato, il futuro di Nicolò è il futuro della Roma, le voci di un contatto con Paulo Dybala sembrano in contrasto con il potenziale del talento italiano. Le parole durano il tempo per suggerire a Mourinho di togliere dal gioco proprio Zaniolo inserendo Spinazzola, dunque difendendosi perché nella ripresa il Feyenoord ha messo paura per occasioni e ritmo, costruendo due palle gol deviate da Rui Patricio mentre la Roma è apparsa disordinata e fragile in mezzo al campo, con un catenaccio dei tempi eroici. Festa finale, tra Tirana e Roma, due soli colori, il giallo e il rosso, la prima volta della Conference League parla italiano.