La penna degli Altri 09/07/2021 09:34

Mourinho: «A Roma per vincere ma datemi tempo»

Jose Mourinho Day

IL TEMPO (A. AUSTINI) - Tempo. È la parola chiave di José Mourinho per presentarsi al popolo romanista che freme. Niente promesse, nessuno slogan sulla romanità o sui nemici, bensì una citazione storica di Marco Aurelio («nulla viene dal nulla e nulla ritorna nel nulla»), chi si aspettava effetti da Special One si è dovuto ricredere. Perché il portoghese, da allenatore navigato e uomo molto intelligente qual è, ha già fiutato il pericolo. La Roma lo ha preso per vincere, certo, ma difficilmente potrà farlo subito. E allora meglio avvisare tutti prima con chiarezza per contenere i danni di un’aspettativa esagerata. «La parola tempo spesso nel calcio non esiste ma qui sì» dice Mourinho nel suo discorso introduttivo della conferenza stampa organizzata in grande stile ieri mattina sulla Terrazza Caffarelli al Campidoglio. Insieme a una precisazione che può sembrare banale ma non lo è: «La città non è un motivo per cui sono qui, perché non siamo in vacanza».

E poi via allo show. Look informale, polo bianca sotto la giacca, braccialetto giallorosso al polso, José è l’allenatore più disinvolto al mondo quando deve mostrarsi alle telecamere. Conosce la lingua e il campionato, dribbla in scioltezza quei 2-3 argomenti scottanti che deve affrontare tipo e la fascia di capitano e si diverte con qualche numero da attore per sciogliere il clima solenne a cui contribuisce anche un Tiago Pinto quasi imbarazzato nel presentarlo. «Sono qui per lavorare, appuntamento alle quattro quindi devo andare» scherza subito Mourinho fingendo la fuga immediata. Si rialza di nuovo quando una tenda in plastica mossa dal vento fa troppo rumore e ci pensa lui, stizzito, ad eliminarla senza fare un fiato, ricorda al giornalista di turno che «sarò un antipatico ma non ti devo dire quello che faccio all’interno del club», ne punzecchia un altro perché «voi parlate sempre di titoli, noi parliamo di tempo, progetto e lavoro. Titoli è una parola troppo facile, poteva essere una promessa molto semplice. E poi non so come ma trovate sempre il mio numero di telefono: ho dovuto già cambiarne tre».

Chiude con ironia quando gli fanno presente che se dovesse vincere trofei qualche romanista potrebbe chiamare i futuri nascituri «José» e lui corregge: «Giuseppe». Con un sorriso che basta da solo a conquistare un popolo. «Non voglio la Roma di Mourinho - precisa - voglio la Roma dei romanisti. Sono uno di più. . Se vuoi parlare della di Max, del di o la Lazio di Sarri puoi farlo ma la Roma di Mourinho non mi piace». Le uniche vere stoccate le riserva al suo vecchio amore, l’. Ricorda a Suning che «è facile vincere se poi non paghi gli stipendi» e affonda il colpo sul fuggitivo : «In questo club si parla di Liedholm e Capello e non sono paragonabili a nessuno. Nell’ nessuno può essere paragonato a me o a Herrera. Nessuno». Dove si vede Mourinho fra tre anni? «Festeggiando. Cosa? Non lo so, ma a festeggiare».

Prima c’è tantissimo lavoro da fare. E lui non fa nulla per nasconderlo, anzi. «C'è una cosa da cui non possiamo scappare, abbiamo chiuso il campionato 29 punti dietro lo scudetto e 16 punti dietro il 4° posto. Ora va capito innanzitutto il perché. Ovviamente parliamo di tempo, è stata una parola chiave nel primo incontro con la proprietà, poi se possiamo accelerare questo processo, meglio. Questa è la mia natura e vorrei che tutti all'interno del club avessero questa mentalità. I Friedkin vogliono fare qualcosa con passione, questa è la ragione principale per cui sono qui. Non cercano un successo isolato, ma puntano ad arrivare lì e rimanerci. Penso che ora sia il tempo di lavorare, insieme ai miei».

Lo staff al completo lo ascolta in platea, c’è anche il potente procuratore Jorge Mendes a dare lustro all’evento. «Tutti sanno - prosegue Mourinho - che non sono una persona troppo simpatica quando lavoro e magari non sarà così un piacere per voi, perché io vado a difendere il mio club e voglio che alcune cose rimangano interne. Devo innanzitutto conoscere il gruppo, perché non si cambiano delle cose quando non siamo ancora consapevoli di quello che c'è all'interno. Ovviamente ci sono principi fondamentali, che non sono negoziabili. Dal primo giorno di allenamento e i calciatori devono capire come lavoriamo noi ed è molto semplice: tutto quello che non è al 100%, non va bene. La quarantena mi ha permesso di stare dentro al centro sportivo e parlare con le persone. Ho visto una gioia terribile di tutti per creare le migliori condizioni».

Capitolo mercato. Inevitabile. Innanzitutto Mou smentisce di aver telefonato ai calciatori di mezzo mondo per portarli alla Roma. «Non ho parlato con nessuno. Si può pensare che sia vero o meno ma dico la verità. Ho parlato solo con Tiago Pinto, con la proprietà, con persone del club di diverse aree ma con nessun giocatore». Ma quando gli chiedono di Spinazzola infortunato non resiste e rivolge lo sguardo al gm giallorosso: «C’è un giovane come Calafiori che farà parte della prima squadra ma ci serve un terzino».

Sugli aspetti di campo ci entra poco. «Abbiamo un'idea ovviamente ma deve essere lavorata ogni giorno e come possa far esprimere i giocatori al massimo. Dobbiamo mettere i giocatori in situazioni confortevoli, facendoli giocare in una maniera che piace a loro. Durante la partita oggi devi avere la capacità di cambiare, tu puoi giocare in un modo quando hai il pallone e in un altro quando non ce l'hai. C’è bisogno di capire, comunicare, analizzare. Ho una squadra tecnicamente fantastica, che mi piace molto, con tanto talento e passione. Abbiamo giocatori che hanno lasciato situazioni confortevoli in altri club per venire da noi».

L’unico singolo di cui parla oltre a Spinazzola e Calafiori, è Zaniolo: «Ha un talento fantastico come altri all'interno della squadra, sappiamo cos'è successo sugli infortuni, dovremo trovare il suo habitat naturale in campo». Con un terzo dei circa settanta giornalisti accreditati proveniente dall’estero era inevitabile una domanda sull’altra star portoghese della Serie A: «Ronaldo non deve preoccuparsi di me, se giocassi difensore centrale forse, perché lo picchierei». Arriva anche il momento in cui deve difendersi da chi lo considera un allenatore non più capace di vincere. E gli viene facile anche questo. «Non rispondo niente. Nei miei ultimi tre club ho vinto lo scudetto col Chelsea, tre coppe col Manchester United, e mi sono qualificato per una finale col Tottenham che non mi hanno lasciato giocare. Quello che per me viene considerato un disastro, qualcuno non lo ha mai fatto nella vita».

Cosa aspettarsi, adesso, da Mourinho? È semplice. «In maniera molto pragmatica, noi vogliamo vincere la prima partita ufficiale che sarà in Conference League. Questa società e questa squadra, ogni giorno, deve essere migliore. Obiettivamente, parlando della struttura che abbiamo a Trigoria è già diversa e migliore da quando sono arrivato il primo giorno». Con un personaggio del genere cambierà anche la storia della Roma? O vincerà ancora quella specie di forza sovrannaturale che impedisce a (quasi) tutti di ottenere qualcosa di importante? Non resta che scoprirlo. Nel tempo.

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