La penna degli Altri 19/11/2020 10:10

Pallone sgonfio: se non dimezza gli stipendi la Serie A rischia il fallimento

pallone pp campo

LIBERO (T. LORENZINI) - Le pressanti richieste di (quasi) tutti i club di portare al termine la serie A nelle prime settimane della pandemia primaverile vanno a braccetto con la recente uscita del presidente di Lega, Paolo Dal Pino: «Il campionato andrà avanti anche in caso di lockdown nazionale». Tradotto: se ci fermiamo non arrivano i soldi e siamo perduti.

Il momento è esiziale. Il termine per pagare gli stipendi del primo trimestre del torneo attuale è stato spostato dalla Figc dal 16 novembre all' 1 dicembre ma, secondo Repubblica, tre società almeno sono in difficoltà nel reperire liquidità e rischiano penalizzazioni in caso di morosità: 2 punti per gli stipendi e 2 per i contributi, per uno scossone alla classifica ma anche una grossa crepa strutturale.

«La situazione per il calcio italiano era ed è devastante. Siamo davanti al default», esclamava pochi giorni fa, al festival Glocal 2020, l'ad dell' Marotta. Non era una boutade, ma sarebbe il caso che il movimento facesse autocritica perché - pandemia a parte - a creare i presupposti della bolla-stipendi sono stati gli stessi club. I soldi da versare entro dicembre sono 300 milioni, il totale del monte stipendi della A è 1,3 miliardi di euro.

L'ingaggio medio netto è di circa 1,2 milioni, con una forchetta abissale tra i 31 che prende di Cristiano Ronaldo (caso unico ma totalmente fuori parametro) e i 40mila euro di Martin Palumbo, 18enne centrocampista napoletano-norvegese dell'Udinese. Mentre fra i mister () stacca tutti a 12 milioni, in coda Liverani (Paria) e Italiano (Spezia) a 500mila euro.

E dunque demagogico sostenere che se la serie A non si dimezza gli stipendi il calcio rischia di fallire? Forse no, visto che è proprio di 600 milioni la perdita stimata causa pandemia (lo ha scritto Dal Pino quando ha chiesto al Governo, inutilmente, i "ristori" per il pallone), guarda caso quasi la metà del monte ingaggi. E che un taglio notevole non sia demagogico ma per lo meno un'ipotesi su cui lavorare lo dimostra quanto è appena avvenuto in Spagna. Da qualche anno l'organismo che organizza Liga e Segunda impone un tetto salariale ai 42 club, una cifra stabilita e revisionata annualmente tenendo in conto incassi e spese previste: «Quando in estate abbiamo iniziato a studiare la situazione, i 20 club della Liga dovevano ridurre il monte stipendi di 900 milioni di euro. Oggi tra aggiustamenti e introiti siamo a 707 milioni», ha dichiarato il presidente della Liga Javier Tebas. In soldoni, il dovrà pagare calciatori con 274 milioni in meno (-41,7%), il 147 (-26,9%), l'Atletico 96 (-27,5%). è in quest'ottica di riduzione che gente come Vidal, dal all', è partita gratis).

OGGI ARRIVA IL FONDO L'Italia probabilmente dovrà iniziare a ragionare sull'introduzione del tetto salariale, anche se l'attenzione dei club è focalizzata su ben altro, vale a dire il voto di oggi in Lega sulla coniata alla quale affidarsi per la creazione della media-company. Il consorzio Cvc-Advent-Fsi valuta la serie A e quel che le ruota attorno circa 17 miliardi, vorrebbe entrare al 10% con compiti di rilancio di immagine, impianti e e visibilità mondiale senza l'intralcio delle liti fra presidenti. L'operazione dovrebbe essere strutturale per aumentare i guadagni futuri, ma intanto porterebbe denaro fresco, circa 1650 milioni di euro. Come e se questi soldi saranno divisi fra i club non è ancora nero su bianco, nella partita vogliono entrare anche i club di serie B. L'augurio è che non si tratti di un brodino ma di un miglioramento radicale, anche perché il Report Calcio 2020 fornisce numeri inequivocabili sul peso del calcio in Italia, altro che "va chiuso", come scrivono i soloni sui social. Tra il 2006 e il 2017 la contribuzione fiscale e previdenziale del calcio professionistico italiano è stata 12,6 miliardi di euro (8,6 derivanti dalla Serie A), pari al 71,5% del gettito fiscale sportivo complessivo, di cui circa la metà relativo alle ritenute Irpef sul costo del lavoro. A fronte di 782,8 milioni di contributi erogati dal Coni alla Figc nel medesimo periodo, per ogni euro "investito" dal Governo nel calcio, il sistema-Paese ha ottenuto un ritorno in termini fiscali e previdenziali di 16,1 euro