La penna degli Altri 31/08/2020 18:01
Le ossessioni della famiglia Friedkin
L'ULTIMO UOMO (D. Saltari) - (...) Poco più di dieci anni prima la Toyota, allora misconosciuta azienda automobilistica giapponese, ha iniziato a conquistare il mondo distribuendo le sue macchine negli Stati Uniti. E per farlo si è rivolta, tra gli altri, al leggendario costruttore Carroll Shelby, che negli anni precedenti ha prestato il suo ingegno alla Ford per la costruzione di un’automobile che potesse battere la Ferrari alla 24 Ore di Le Mans.
(...) Quando infatti Shelby va dal vicepresidente della Ford, Lee Iacocca, per un consiglio riguardo alla proposta della Toyota, quest’ultimo lo guarda sprezzante e gli risponde che i costruttori statunitensi di automobili «respingeranno i giapponesi nell’oceano». Shelby, pensando che Iacocca se ne intenda, gira allora la proposta a uno dei suoi amici e compagni di autodromo, Thomas Friedkin, che invece non ci pensa due volte. Non sappiamo se la sua è un’intuizione o più voglia di voltare pagina. Nel 1969, quando riceve l’esclusiva dalla Toyota per vendere le sue macchine in Arkansas, Lousiana, Mississippi, Oklahoma e Texas, Thomas Friedkin ha appena 34 anni ma è già orfano di entrambi i genitori da quando ne aveva 28 e non gli è rimasto che gestire la compagnia aerea ereditata dal padre Kenny, la Pacific Southwest Airlines, e godersi la vita con sua moglie Susan. Fatto sta che dieci anni dopo, mentre in Iran cacciano lo scià fondando la repubblica islamica, la sua nuova società, la Gulf States Toyota, vende all’anno quasi 70mila automobili giapponesi.
(...) Per quanto possa sembrare paradossale, i Friedkin non hanno mai voluto dare l’impressione di essere degli imprenditori, forse perché conoscono l’intrinseca volgarità del denaro. Soprattutto, hanno avuto sempre la necessaria riservatezza per riuscirci. (...) In ogni caso, con la fortuna della Gulf States Toyota, Thomas Friedkin si dedica ai suoi hobby. La caccia, le macchine, ma soprattutto gli aerei d’epoca, che inizia a collezionare come noi faremmo con i francobolli o i numeri di Dylan Dog. (...) Il cinema, comunque, è per Thomas Friedkin ciò che le camicie hawaiane erano per sue padre Kenny – e cioè un travestimento per sembrare più eccentrico del classico imprenditore miliardario.
(...) La sua esperienza di imprenditore si chiude nel 2001, proprio mentre a Roma si festeggia quello scudetto senza il quale probabilmente il gruppo Friedkin non sarebbe mai venuto a conoscenza della squadra giallorossa. È l’anno in cui Thomas lascia ufficialmente la guida delle fortune di famiglie al figlio Dan, con la solita premura di non apparire troppo interessato alla sua stessa ricchezza. (...) Mai come nel caso dei Friedkin, infatti, si fa fatica a distinguere le vite dei padri da quelle dei figli. Anche lui appassionato di caccia (soprattutto al cervo), anche lui pilota di aerei d’epoca in alcuni film e serie TV, Dan ha portato avanti l’impero familiare con un culto della riservatezza se possibile ancora più ossessivo, al punto da riuscire a tenere all’oscuro della stampa la morte del padre (avvenuta nel marzo del 2017) per più di una settimana.
(...) La Roma, in questo senso, è il primo investimento che rompe con la tradizione familiare, di cui aveva ricalcato le orme fino a quest’anno in maniera talmente attenta da arrivare ad emularla esplicitamente. In una delle sue apparizioni cinematografiche, quella nel finale di Dunkirk, Dan Friedkin pilota uno degli Spitfire della collezione di famiglia facendolo atterrare su una spiaggia deserta, in un’incredibile citazione sia della vita del nonno Kenny (pilota della RAF) sia di quella del padre Thomas (pilota per il cinema).