La penna degli Altri 15/05/2020 16:09

I medici del pallone «spediti» al fronte

Serie A, primo giorno di allenamenti individuali per l'AS Roma a Trigoria

IL GIORNALE (F. ORDINE) - D' improvviso, i medici del calcio italiano si sono ritrovati stritolati tra due macigni. Da un lato si chiede loro di sorvegliare sulla salute delle 20 squadre chiamate a riprendere il campionato con ripetuti e meticolosi controlli, dall'altro si mette sulle loro spalle il rischio clamoroso della doppia responsabilità, civile e penale, nel caso di scoperta di un positivo nel team.

I medici del calcio di nuova generazione sono professionisti di grande valore, diversi, molto diversi dai loro pro-genitori. Nel passato quasi "medioevale" dell'altro calcio, non c'erano il rigore e le conoscenze di cui gode oggi la categoria. Le cronache retrodatate hanno spesso raccontato di calciatori lanciati nella mischia senza la certezza della guarigione da noie muscolari, di infortuni gestiti in modo artigianale, per tacere nel frattempo dei progressi strepitosi compiuti dalla scienza medica. Averli esclusi, tra l'altro, dallo studio del famigerato protocollo, come ha lamentato a più riprese Enrico Castellacci, ex medico della Nazionale azzurra campione del mondo a Berlino e presidente della categoria, è un altro dei misteri impenetrabili di questi sventurati giorni dominati dal Covid-19.

Di solito i medici del calcio hanno un rapporto quasi familiare con i propri tesserati, ne conoscono la cartella clinica ma soprattutto la personalità, pregi e difetti, anche qualche debolezza. Perciò sono i migliori vigili sui quali lo sport può contare per tentare di riprendere il campionato e provare a portarlo a termine, senza peraltro incorrere nei fulmini dell'Uefa che è già sul piede di guerra nei confronti di quei paesi che si sono arresi prematuramente.

Esiste una circolare Inail emanata di recente che equipara il potenziale contagio da Covid-19 a infortunio di lavoro, la cui responsabilità civile e penale è sul capo del datore di lavoro, non del medico. Per gli autori del protocollo calcistico, il rischio è stato rovesciato in modo molto stravagante. Per questo la categoria ha confessato legittimo disagio e preoccupazione. Se devono combattere contro il virus per la salute dei loro calciatori, non possono diventarne le vittime.