La penna degli Altri 22/09/2019 16:52

«La mia vita a cancellare scritte indegne. Quel razzo distrusse una famiglia felice». La tragedia Paparelli quarant’anni dopo

paparelli famiglia

Gabriele Paparelli, 48 anni, figlio di Vincenzo, il tifoso ucciso da un razzo prima del derby Roma-Lazio del 28 ottobre 1979, ha rilasciato una lunga intervista all'edizione odierna del quotidiano ricordando quel tragico pomeriggio. Queste alcune delle sue parole:

Sono passati ormai 40 anni ed è una ricorrenza triste. Violenza e ricatti negli stadi sono ancora realtà. Un flash di quel giorno?
«Avevo solo 8 anni, ma mi è rimasto impresso tutto, minuto per minuto. Un dolore incancellabile. Era una bella domenica, come le altre, da vivere in famiglia. Abitavamo tutti insieme, con zii e cugini, nel palazzo di via Dronero, a Boccea, costruito da mio nonno. Facevamo tavolate meravigliose...»

E Roma e Lazio, entrambe partite male, si stavano per giocare il primato cittadino...
«Pensi che all’inizio papà aveva deciso di andare a trovare i nonni a Valmontone. Pioveva. Poi, a metà mattinata, si affacciò uno spiraglio di sole e lui chiese a mamma di accompagnarlo. Io piantai un capriccio, piangevo. Volevo andare con loro all’Olimpico. Ma fu irremovibile: Meglio di no, se qualcuno si mena potrebbe essere pericoloso, mi disse».

La notizia piombò nella tribù Paparelli all’ora di pranzo.
«Erano tutti sconvolti, gridavano. Cercarono di proteggermi. I vicini di casa, per distrarmi, mi portarono al Luna Park, ma al rientro capii: sotto casa c’erano polizia, ambulanze, giornalisti. Mia madre, che aveva solo 29 anni, si era come spenta. Non reagiva. Fui mandato a dormire da una mia zia, e mio fratello da un’altra». In curva Nord spunta spesso un disegno con il volto di sua padre. Le avranno detto che le somiglia, no? «Certo, e ne sono orgoglioso. Ma non è stato bello, le assicuro, portare questo cognome. Sono cresciuto in un clima dove il rispetto non esisteva. Ho combattuto da sempre contro cori, minacce...»

E la purtroppo celebre scritta «10-100-1000...»
«L’ultima l’ho cancellata in zona Termini. Per fortuna oggi, grazie ai Social, si è creato un tam-tam e tanti mi aiutano. Gabrie’, non ti preoccupa’, provvedo io... Giuro: ne avrò coperte migliaia. Non provo odio, ma ogni volta è un coltello che gira nella ferita fresca, e trovare sempre qualcuno che te la smuove è un dolore in più». Il famoso cuore di Roma non esiste? «Certo, c’è anche questo. Tutti i giorni incontro gente che mi dà pacche sulle spalle, che mi chiede scusa per i cori e le scritte vergognose. La tomba a Prima Porta per anni è stata inondata di lettere, sciarpe, fiori. L’altro giorno mi ha intervistato Sky per una puntata speciale di un’ora, e abbiamo dovuto interrompere per la troppa commozione. Tutti e tre gli operatori piangevano».

Cosa le ha fatto decidere di non mettere più piede all’Olimpico?
«È più forte di me. Prima l’ho frequentato spesso, non la curva Nord, solo i Distinti. Ma da tanto ho smesso. Una volta mi è volato un sampietrino sopra la testa, fuori dallo stadio, e ho detto basta. Mia figlia, invece, è appassionata: la accompagna il nonno materno. La società l’ha invitata a festeggiare i suoi 6 anni a Formello, con i calciatori, ed era al settimo cielo...»

(corsera)