La penna degli Altri 31/08/2019 16:00
Lazio-Roma, Derby Capitale. La Storia – Seconda Parte
GLIEROIDELCALCIO.COM (F. MECUCCI) - Da Derby Capitale a “Capita al Derby” il salto verbale è breve ma chiarificatore. Come abbiamo descritto nella prima parte di questo speciale, una rivalità infinita divide la città da tempo immemore. Parafrasando un famoso proverbio Lazio e Roma sono così diverse “eppure così uguali”. Perché, come in tanti altri casi, il nemico è tanto più sentito quanto è più vicino e simile. Spesso all’interno delle stesse mura di casa e per caratterizzarlo se ne esaltano goliardicamente le presupposte differenze, i luoghi comuni, le debolezze: nasce così lo sfottò. La derisione goliardica dell’avversario però è tanto più pungente quanto è spiazzante la causa ispiratrice. Molte volte infatti il tifoso capitolino ha vissuto inevitabili scontri frontali con l’imprevisto. Come abbiamo raccontato, il derby a Roma vale di più che nelle altre città. Vale tre punti come le altre partite, ma può darti o toglierti punti in quelle successive. E per quanto il significato della sfida travalichi i novanta minuti vissuti sul rettangolo di gioco, spesso il susseguirsi degli eventi ha arricchito la sua storia di particolarità tanto curiose quanto affascinanti. Il grande imperatore Giulio Cesare, come monito ai suoi generali, amava ripetere spesso ai suoi generali che “Nessuno è così forte da non rimanere turbato da una circostanza imprevista.” In questo viaggio nella storia della stracittadina andremo a scandagliare alcuni dei principali episodi bizzarri, avvenuti spesso quando le telecamere, pronte oggi ad entrare persino negli spogliatoi, ancora non portavano le immagini della sfida capitolina nelle case di oltre 170 paesi in tutto il mondo. Tra le partite “improbabili” da ricordare, forse la prima da citare è il derby di Roma giocato il 24 maggio 1931. Dopo il combattuto derby d’andata terminato in pareggio entrambe le formazioni volgevano al match di ritorno con una grande fame di vittoria. Sul risultato di 2-2, la notizia del vantaggio della Juventus scuote i giallorossi che iniziano ad accelerare per portare a casa un’utile vittoria. Nei minuti finali la palla esce dal rettangolo di gioco, il terzino giallorosso De Micheli si affretta per riprendere il gioco ma il presidente della Lazio Giorgio Vaccaro lo calcia lontano. De Micheli non ci sta e alza le mani, Vaccaro risponde con uno schiaffo che sigla l’inizio della rissa sul campo e sugli spalti. Il confronto fra le tifoserie degenerò nel primo episodio di violenza della storia del derby di Roma sfociando in una vera e propria rissa con tanto di invasione di campo, comportando l’intervento della polizia a cavallo per sedare gli animi. Altro episodio curioso degli anni ’30 è lo storico “tradimento” di Attilio Ferraris IV. Nell’estate del 1934 lo storico capitano della Roma fu ceduto alla Lazio con una clausola: la formazione biancoceleste era dispensata dallo schierare il giocatore nel derby pena il pagamento di una multa di 25.000. Il 18 novembre del 1934, data del derby di andata, la Lazio ripensa a quanto accaduto nell’anno precedente (uno storico 5 a 0 giallorosso con tripletta di Tomasi e doppietta di Bernardini) e decide all’ultimo minuto di pagare la multa e di far scendere in campo Ferraris. Naturalmente l’episodio infiammerà oltremodo una stracittadina che non riusciva a trovare pace. Dai contorni tragici è invece la cornice del prossimo episodio. Correva l’anno 1944, Roma gemeva sotto il tallone nazista. L’incontro della domenica faceva dimenticare per novanta minuti gli affanni, i bombardamenti, il coprifuoco e la tessera del pane. La storia si riferisce al giovedì del 23 marzo 1944, quando l’attentato partigiano contro i nazisti in via Rasella scatena la rappresaglia tedesca che terminerà con l’Eccidio delle Fosse Ardeatine: il massacro di 335 civili e militari italiani, fucilati il 24 marzo 1944. A raccontare i fatti è Aldo De Pierro, difensore veterano della SS Lazio, che quel giorno si recava alla Rondinella per l’allenamento, in compagnia di Amedeo Rega, portiere, e Edoardo Valenti, terzino destro. Arrivati nei pressi del campo, i tre si imbatterono in un plotone di “SS” e di camicie nere del “Battaglione M”. La situazione divenne subito molto pericolosa per gli atleti biancocelesti in quanto i soldati tedeschi non si fecero imbonire né dalla tessera della Lazio mostrata dai giocatori né dalle foto del giornale Littoriale, nel quale i tre campeggiavano sotto un’aquila ancor più feroce della loro. Ai dubbi nazisti, risposero le camicie nere che proposero di portare in caserma i tre sventurati proponendo di esaminarne la successiva domenica sera il loro caso. Ma fortuna volle che sul posto arrivarono alcuni dirigenti della Lazio che ottennero, con grosse difficoltà, la liberazione degli atleti biancocelesti. Solo allora il capo delle camicie nere si rassegnò, ma pronunciò adirato una minaccia: “Tanto domenica perderete… laziali de ‘sto c…!”. Evidentemente era un romanista; ed un cattivo profeta in Patria. La partita la domenica la vinse la Lazio portandosi in testa alla classifica. E il derby contro la Roma, alcune settimane dopo, rimase bloccato sullo zero a zero, consegnando nelle mani biancoceleste il torneo, per un punto di vantaggio sulla Roma.
Altro episodio curioso avvenne nell’immediato dopo guerra. Era il 25 febbraio 1951 e la Lazio sfidava una Roma in profonda crisi: per i biancocelesti le stracittadine erano la ghiotta occasione per dare un colpo di grazia agli avversari. Nell’infuocato clima del derby di ritorno, bastarono due minuti per cambiare le sorti dell’incontro. Dopo appena una manciata di secondi dal fischio d’inizio, il centrocampista laziale Sentimenti si trova tra i piedi una palla che non può fare altro che spingere in rete. L’unico difensore giallorosso a provare a contrapporsi a quel gol decisivo fu un uomo che poi scrisse la storia biancoceleste. Vestiva la maglia numero 4, indossava al braccio la fascia di capitano: il suo nome era Tommaso Maestrelli, allenatore della Lazio del primo scudetto nella stagione 1973/74. Anche a causa di tale sconfitta, al termine del campionato 1950/51 la Roma retrocesse in Serie B per la prima volta nella sua storia e per la prima volta nella storia di una squadra della Capitale.
Pochi anni dopo, nel mese di marzo del 1956, fu il meteo a fornire l’imprevisto nella stracittadina: l’Europa e in particolare l’Italia vengono investite da una ondata di gelo e da quella che sarà ribattezzata la “nevicata del secolo”. Che marzo sia un mese “pazzo”, è cosa risaputa, ma quello che successe a Roma nella notte tra il 10 e l’11 marzo del 1956 fu un qualcosa di eccezionale. Sulla Capitale, si abbatté una vera e propria tormenta e per la prima volta l’11 marzo 1956, un derby romano venne rinviato per la neve. L’incontro viene quindi spostato al 4 aprile 1956, un mercoledì: un’altra particolarità per l’epoca, in cui si gioca solo di domenica, di giorno, con le partite che iniziano tutte in contemporanea. Il recupero del 4 aprile 1956 venne diretto, anche questa fu una novità, da un giudice di gara romano. Il giudizio sulla prestazione arbitrale venne ben sintetizzata dal “Tifone” che titolò: “Ha arbitrato Orlandini… di Lazio”. Sempre un fattore esterno al campo decide il derby di Coppa Italia del 7 novembre del 1969: in questo caso dirimente fu un tribunale. Si gioca alle ore 21,00 e l’incontro porta la Roma, che viaggia a metà classifica in serie A, in casa di una Lazio relegata in serie cadetta. Sembra uno dei tanti derby incanalati sullo zero a zero, quando al 35’ la Roma passa su contropiede di Capello finalizzato magistralmente da Peirò. La Lazio non ci sta e prova a reagire ma il portiere giallorosso Ginulfi nega più volte la gioia del pareggio ai biancocelesti. Un rigore sbagliato e una rete annullata fanno imbestialire i laziali che a 6 minuti dal termine perdono la partita nel peggiore dei modi: l’illuminazione si rende intermittente frammentando il gioco finché sullo stadio cala definitivamente il buio. L’arbitro manda tutti a casa fra i fischi dei 75.000 presenti ed il giudice sportivo applica il principio della responsabilità oggettiva nei confronti del club biancoceleste che perde così la partita a tavolino per 2-0. L’episodio fece talmente clamore che nel successivo anno, al termine del derby di andata di campionato, vinto dominando dai giallorossi, il Corriere dello Sport titolava sornione verso l’allenatore biancoceleste: “A Lorè, stavorta te ce voleva n’eclisse”.
Negli anni ’70, nel clima infuocato degli anni di piombo, si sviluppò un profondo legame tra i giocatori della Lazio e le armi da fuoco, una passione introdotta da alcuni giocatori, su tutti Sergio Petrelli, ex giallorosso, che alla vigilia del derby della stagione dello scudetto biancoceleste 1973-74 si rende protagonista di un episodio bizzarro quanto pericoloso. Sotto l’albergo che ospita i calciatori biancocelesti, un gruppo di tifosi romanisti si raduna per dare fastidio e rovinare il sonno ai giocatori laziali. Petrelli visibilmente alterato si affaccia dalla finestra dell’albergo e fa partire tre colpi di pistola: i tifosi della Roma allora scappano a gambe levate, ma perché uno di quei proiettili colpisce il lampione affianco a loro. Gli anni ’70 si concludono drammaticamente con un evento delittuoso: tragica morte del tifoso biancoceleste Vincenzo Paparelli colpito da un razzo sparato da un giovane tifoso romanista. Per ristabilire un clima consono ad una competizione sportiva viene organizzata una amichevole mista Roma e Lazio per il 18 novembre 1979. L’evento ribattezzato “Derby dell’amicizia” fu organizzato dalle due società con l’intento di raccogliere fondi per la famiglia dello sfortunato tifoso laziale. Dopo un decennio il derby capitolino del 1989 presenta un nuovo elemento anomalo ed esogeno all’evento sportivo, stavolta per implicazione politiche. La sfida si gioca allo stadio Flaminio alle 14,30, per la prima volta dopo oltre 40 anni, a causa dei lavori di ristrutturazione dell’Olimpico in vista dei mondiali di calcio di Italia ’90. Il clima della vigilia è molto pesante, al che l’allora Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, decise di inviare un messaggio in cui pregava i tifosi di sedare i bollenti spiriti. Il messaggio attecchì con il suo tenore amichevole, concludendosi in modo inaspettato con una storica frase: “non famo scherzi!” L’ultimo episodio particolare nella storia della stracittadina è avvenuto nel nuovo millennio. Il 21 marzo 2004, si gioca Lazio – Roma alle 20,30. Il pre-partita è funestato da lanci di lacrimogeni, cariche, scontri tra tifosi e forze d’ordine. Nonostante il pesante bilancio dei disordini la partita inizia puntuale; Alla fine del primo tempo però una notizia terribile raggiunge le due tifoserie: un’auto della polizia avrebbe investito fatalmente un bambino. L’arbitro Rosetti fischia l’inizio del secondo tempo, ma non dura oltre 3 minuti: dalle curve un lancio continuo di razzi lascia capire che le due curve non hanno intenzione di lasciar giocare. Dagli spalti il coro “Sospendete la partita” diventa sempre più pressante. Nonostante le continue smentite della polizia diffuse tramite gli altoparlanti dello stadio, sette tifosi della Roma scavalcano le recinzioni e scendono in campo per un colloquio privato con il capitano Francesco Totti. Dopo 25 minuti di tensione, l’arbitro interrompe la partita e manda tutti a casa. Il primo, e forse unico caso, di derby sospeso per “fake news”. Gli episodi raccontati danno il senso di come e quanto, il derby di Roma, travalichi i novanta minuti vissuti sul rettangolo di gioco. Le implicazioni sociali, politiche, economiche delle due contendenti sul tessuto cittadino sono legate anche al senso ancestrale, primitivo, irrazionale, del tifoso romano desideroso di affermare il proprio dominio di un giorno sulla Città eterna. E se l’irrazionalità, come abbiamo visto, si scontra spesso con l’imprevisto nello scorrere degli eventi sportivi, anche i protagonisti delle stracittadine non possono essere immuni dall’improbabilità. Ad esempio, chi avrebbe mai potuto pensare che il marcatore decisivo della stracittadina giocata il 17 dicembre 2000, che ha regalato tre punti fondamentali alla Roma in corsa per la vittoria dello scudetto, sarebbe stato proprio un giocatore laziale. Di certo non se l’aspettava Paolo Negro, infausto protagonista di uno sfortunato autogol. Magra consolazione per il malcapitato può essere che, come si sa, la storia si ripete: infatti nell’anno del primo scudetto giallorosso, esattamente nel derby del 11 gennaio 1942, un altro difensore centrale biancoceleste, Massimiliano Faotto, commette il più tragico degli errori proprio allo scadere del 90’ regalando il successo alla Roma. Imperdonabile sì, ma non imponderabile. Perché l’imprevisto non è l’impossibile: è una carta che è sempre presente nel gioco. In effetti, altrettanto imprevisto è l’esito del derby di ritorno della stagione 2000-01: il 29 aprile 2001 si gioca il derby che può decidere le sorti scudetto. La Roma è prima in classifica con 3 punti di vantaggio sulla seconda, la Juventus, e 6 sulla terza, la Lazio. La posta in gioco si riflette nell’incedere dell’incontro: nel primo tempo vince il nervosismo, con tanti falli e pochi tiri. Ma ad appena due minuti dal fischio di inizio del secondo tempo, Batistuta porta in vantaggio i giallorossi, seguito dopo altri 5 minuti dal raddoppio di Marco Del Vecchio. La Curva Sud è in delirio ma a freddare i sogni di gloria ci pensa Nedved che riapre la partita a meno di un quarto d’ora dalla fine. Il tempo scorre inesorabile e nonostante il gol biancoceleste, tra i tifosi della Roma serpeggia l’ottimismo anche se un retro pensiero gela i più previdenti. Questo perché c’è un solo tipo di shock peggiore rispetto all’imprevisto: il previsto per il quale ci si è rifiutati di prepararsi. Sullo sviluppo di un angolo laziale, battuto a 30 secondi dalla fine, ecco spuntare Lucas Castroman; il centrocampista biancoceleste, fino a quel momento non ha mai brillato in campo, ma sulla respinta corta della difesa giallorossa si inventa un tiro al volo di destro sul primo palo che non lascia speranze ai giallorossi: è 2 a 2 al 95’. Prima di lui, un altro centrocampista laziale aveva regalato ai propri tifosi l’estasi allo scadere del tempo di gioco di un derby. Guerino Gottardi, in forza con i biancocelesti dal 1995 al 2004, è stato presente in campo in 84 partite, segnando un solo goal: quello giusto. L’occasione è il derby di Coppa Italia Roma – Lazio del 21 gennaio 1998; il risultato è bloccato sul 1 a 1 dall’inizio del secondo tempo, quando un rilancio della difesa laziale trova smarcato Gottardi che inizia una corsa solitaria verso l’estremo difensore giallorosso: siamo al 95’, in pochi riescono a credere ai loro occhi. il centrocampista nato in Svizzera piazza un diagonale preciso sul secondo palo, con una freddezza da bomber vero. Stessa sorte, a parti inverse, vissuta dal terzino giallorosso Marco Cassetti nel derby del 6 dicembre 2009, deciso al minuto 79′ da un suo destro al volo su cross dalla destra di Mirko Vucinic. O come il derby del 26 maggio 2015 dove sul tabellino dei marcatori figurarono Juan Manuel Iturbe Filip Djordjevic ed addirittura Mapou Yanga Mbiwa, bomber impronosticabili che nella Capitale sarebbero passati come meteore. Ma il marcatore non conta, l’imprevisto neanche. Nella vita alla fine nulla avviene né come si teme né come si spera. L’importante è la vittoria perché un derby non si gioca, si vince.