La penna degli Altri 25/04/2019 13:28
De Vito dalla cella: "Non lascio". E attacca i grillini sulle regole
LA REPUBBLICA - La lettera da Regina Coeli è datata 13 aprile e nell’intestazione riporta i destinatari: «Alla sindaca Virginia Raggi, al vicepresidente vicario dell’Assemblea capitolina, ai Consiglieri, al Segretario generale». Marcello De Vito rompe il silenzio. Scrive di suo pugno 4 fogli resi noti solo ieri, a 35 giorni dal suo arresto per corruzione nell’ambito dell’inchiesta sullo Stadio della Roma che ha coinciso col tentativo del M5S di cancellarne quasi la figura, espulso a poche ore dalle manette direttamente dal capo politico del Movimento, Luigi Di Maio. E invece De Vito torna a farsi sentire in una lettera indirizzata ai suoi ex «amici» con la quale annuncia di non volersi dimettere dalla carica di presidente dell’Aula Giulio Cesare, incarico che potrebbe tornare a ricoprire quando cesseranno, a giudizio della magistratura, le esigenze cautelari. «Ho pensato spesso di dimettermi ma non posso, non voglio e non debbo farlo. Credo con forza nella giustizia e giustizia chiedo». Una mossa che getta ancora di più nell’imbarazzo la maggioranza pentastellata in Campidoglio, titubante nello sfiduciarlo dalla carica (operazione prevista dal regolamento e sulla quale era stato richiesto un parere al segretario generale del Comune) proprio per il rischio di un contenzioso. Già, perché De Vito attualmente è sì in carcere ma ancora da indagato.
«Mi sono chiesto cosa potrebbe decidere il nostro leader — scrive ancora da Regina Coeli — per se stesso, ove fosse sottoposto a un giudizio. Sicuramente proporrebbe un quesito ad hoc, come quello ideato sul caso Salvini-Diciotti, da sottoporre al voto on line. Così come ho ricordato che il nostro codice etico prevede l’espulsione dal M5S solo in caso di condanna e non si presta a opinabili interpretazioni a seconda dei casi o peggio, all’arbitrio del nostro leader». Parole nette con le quali il primo candidato sindaco del Movimento a Roma prova a ribadire la sua innocenza: «Sono pronto per il giudizio, non sono corrotto né corruttibile. Nell’immediato ho provato rabbia e delusione per le parole di abbandono degli “amici”. Posso dire che ho ricevuto maggiore solidarietà dalle persone in queste retrovie che in qualsiasi altro posto». E ancora: «Mai come in questo momento ho compreso che abbiamo perso totalmente i nostri valori fondanti della solidarietà, della coesione e della condivisione». Parole amare che De Vito rivolge al M5S e alle quali la maggioranza in Campidoglio preferisce non replicare. Un modo per prendere ancora di più le distanze da chi si ritrova in carcere accusato, secondo la tesi della procura, di aver asservito il suo ruolo in favore di alcuni costruttori (da Luca Parnasi ai fratelli Toti fino a Giuseppe Statuto) che avevano messo gli occhi su importanti appalti oltre allo stadio della Roma: il restyling della stazione di Trastevere, quello della vecchia Fiera di Roma e quello dell’area degli ex Mercati Generali di via Ostiense. Eppure è sempre l’impianto di Tor di Valle l’incubo maggiore per l’M5S: 5 le inchieste aperte dalla procura e in una è iscritta tra gli indagati anche la sindaca Virginia Raggi, accusata di abuso d’ufficio in base a un esposto presentato da un ex 5 Stelle, l’architetto Francesco Sanvitto. Dopo la prima richiesta di archiviazione dei pm, respinta dal gip, ieri gli avvocati della sindaca sono tornati a ribadire la posizione di Raggi, convinti che, al termine dei 60 giorni di ulteriori indagini, «la procura richiederà nuovamente l’archiviazione per quanto riguarda la sindaca». Circostanza, però, non scontata e per la quale bisognerà attendere altri due mesi e l’audizione a piazzale Clodio di due consiglieri municipali M5S. Poi, solo allora, toccherà nuovamente al gip pronunciarsi: se accogliere l’eventuale richiesta di archiviazione dei pm o decidere per l’imputazione coatta della prima cittadina.