La penna degli Altri 01/02/2019 16:53
DiFra resta. Bene la società. Ora nel mirino c’è il gruppo
LA REPUBBLICA (F. BOCCA) - Ha coraggio, e forse addirittura ragione, la Roma a tenerei Eusebio Di Francesco. Non perché l’allenatore non abbia colpe e non sia corresponsabile degli inquetanti tracolli, ma tenere la barra dritta, non cedere alla piazza, legarsi mani e piedi a lui è a suo modo una scelta. Forte e coraggiosa. È un po’ come giocare alla roulette e puntare le poche fiches rimaste tutte sul rosso o sul nero - e infatti domenica sera all’Olimpico arriva il Milan... -, è un pugno sbattuto sul tavolo di fronte alla gran caciara capitale. A un’indignazione persino esagerata se consideriamo che non sono in ballo i diritti umani. Una furia rabbiosa quella per il crac della Roma che eguaglia quella per le buche in strada, le montagne di immondizia e le periferie abbandonate. E anzi, chissà cosa sceglierebbero certi tifosi se chiedessero loro: vuoi una città pulita e civile oppure la Roma in Champions?
È un segno di vitalità, quello della scommessa su di Francesco, che arriva quando si pensava che fosse davvero finita e che la rassegnazione fosse ormai allo stesso insopportabile livello dei gol presi. Quando si pensava che l’unica via di scampo e di espiazione per i 7 gol di Firenze, fosse la cacciata dell’allenatore ecco chi se lo tiene stretto e lo difende a proprio rischio e pericolo. Potrà trascinarla ancora più giù, Di Francesco, ma adesso i giocatori sanno che la società è dalla sua parte e che sono soprattutto loro a essere nel mirino. A cominciare da Dzeko che si permette di insultare l’arbitro con tale rabbia, da farsi espellere e non permettere alla Roma di perdere a Firenze con un risultato più dignitoso. È una scommessa, quella della conferma di Di Francesco, sulle proprie convinzioni. Molto poco condivisibili e chiaramente perdenti - l’ultima volta che la Roma ha vinto qualcosa (Coppa Italia 2008), si stava tra i sindaci Veltroni e Alemanno e Pallotta & C erano ancora al di là da venire a dare lezioni di football americano e soprattutto a promettere trofei in cinque anni - ma forse più genuine e sincere dell’apparenza.
Sembra davvero, adesso, che lo spagnolo Monchi - il marziano di Flaiano a Roma - catalizzatore di malumori e architetto di questa Roma cosí sghemba, creda in Di Francesco e nei giocatori che ha scelto e messo sotto paga. Sembra davvero, adesso, che James Pallotta oltre ad aver affidato il portafogli a dirigenti che fanno plusvalenze e soldi, ma hanno perso di vista i reali obiettivi di chi fa calcio, affidi loro anche se stesso. Pronto a offrire il petto alla causa giallorossa. La scelta di mandar via l’allenatore era sicuramente più normale. Ma non l’unica e soprattutto senza alcuna garanzia. Il non aver un sostituto convincente (chi, Paulo Sousa?) nonché constatata pure l’estinzione dei barcaroli romani per far da traghettatore, ha costretto il club a una mossa sconvolgente e rivoluzionaria: tenersi il tremebondo Eusebio. Che secondo cliché non si è dimesso ma forse è davvero un bravo e sfortunato allenatore. Senza per questo apparire dei terrapiattisti per il solo sostenerlo. Intanto lui sta lì a Trigoria, orgogliosamente piantato come l’edera di Orietta Berti. “L’amore è come l’edera s’attacca dove muore”