La penna degli Altri 13/09/2018 14:21
Una storia infinita: tra rinvii e richieste lo stadio che non c'è
«It’s a big day today». Erano le 11.43 local time (le 17.43 in Italia), c’era un bel sole a Orlando, in Florida, il giovane e rampante costruttore romano indossava il vestito delle grandi occasioni, il manager americano re dei fondi speculativi grandi occhiali scuri e una camicia senza cravatta. Entrambi sfoderavano il loro migliore sorriso. Era il 30 dicembre 2012. «Un grande giorno», in cui Luca Parnasi sentì che sarebbe diventato un palazzinaro più famoso del padre, e James Pallotta si convinse di aver fatto l’affare della vita: quattro mesi prima era diventato presidente di un club di calcio con un grande nome ma poco valore; un paio d’anni dopo, tre al massimo, l’avrebbe rivenduta con un grande stadio per tanti soldi. Sono passati quasi sei anni dalla firma dell’accordo tra Parnasi e Pallotta, il primo atto del progetto «stadio della Roma». A rileggerle oggi, le cronache degli inviati in Florida fanno sorridere di tenerezza. (...) È passato attraverso due delibere dell’assemblea capitolina sulla pubblica utilità e altrettante Conferenze di servizi in Regione, ma non ha ancora ottenuto la variante al piano regolatore, condizione necessaria perché si possano concedere gli appalti e posare la prima pietra. Il progetto è stato concepito con Alemanno, che è passato in fretta, sottoposto una prima volta a Marino, rimasto congelato con Tronca, e sottoposto in una nuova versione alla Raggi. Le sue cubature sono aumentate e diminuite come sulle montagne russe. L’area di Tor di Valle, scelta dopo una lunga selezione, ha subito ogni tipo di contestazione: dai residenti, dagli ambientalisti, dagli assessori. Prima per il rischio idrogeologico del Tevere, poi per la tutela architettonica della tribuna del vecchio ippodromo, infine per i rischi di mandare in tilt la viabilità del quadrante. Clamorosa la battaglia di Berdini, architetto e alfiere dell’ala più movimentista dei grillini che ha provato in tutti i modi a bocciare il progetto finché la Raggi non l’ha messo alla porta, rimpiazzato con il più docile Montuori. (...) Il progetto ha resistito a Mafia Capitale e stava lentamente arrivando al traguardo. Prima dell’estate il Consiglio comunale avrebbe dovuto approvare la variante al piano regolatore e il testo della convenzione urbanistica, ultimi atti d’un certo peso prima del via libera a costruire. Forse il dossier Tor di Valle avrebbe visto la luce, seppure nella forma riveduta e corretta (in peggio) voluta dalla Raggi, ma l’inchiesta Rinascimento – ribattezzata Stadio Capitale – l’ha travolta. Parnasi e i suoi collaboratori arrestati per associazione a delinquere e corruzione, nei guai il factotum del M5S Lanzalone, nel frattempo promosso alla guida di Acea, un ex assessore regionale, un consigliere, una decina di soggetti tra politici locali, funzionari, dirigenti ministeriali, intermediari, tutti indagati. (...) E la pazienza di Pallotta si sta esaurendo. Il presidente della Roma l’ha detto in tutte le salse: «Se bloccano lo stadio me ne vado». Lui e i soci, che in questa operazione hanno già investito un centinaio di milioni, continuano a impegnarsi: ora pare siano disposti a rilevare la parte di Parnasi diventando di fatto i soli titolari del progetto. La nuova dead line concessa al Comune è il 30 dicembre: la Roma s’aspetta di festeggiare il Capodanno almeno con la variante urbanistica. In fondo saranno passati solo sei anni.
(gasport)