La penna degli Altri 02/07/2018 13:53
Stop agli spot scommesse e il calcio italiano va a picco
LEGGO (M. CASTORO) - Dopo Pjanic e Salah è toccato a Nainggolan. Ma non è finita: la Roma potrebbe cedere anche Alisson al Real Madrid o al Chelsea. La Lazio ha messo all'asta il suo gioiello Milinkovic-Savic, altrimenti è dura essere competitivi in campionato e in Europa League. Il Milan coi bilanci in disordine è stata punita dalla Uefa con l'esclusione dalle coppe. La Juventus vorrebbe Cristiano Ronaldo, ma CR7 col suo ingaggio mostruoso (20 milioni ma punta a raddoppiarlo per raggiungere Messi) resta un sogno anche per il club più ricco del calcio italiano, che può contare sugli introiti provenienti dello stadio di proprietà. E, ora, un nuovo spettro incombe sul calcio italiano: il decreto su giochi e scommesse che vieta spot in tv e sponsorizzazioni.
Per avere un'idea di quanto la strada sia in salita per i nostri club basta dare un'occhiata ai fatturati di inglesi, Real Madrid, Barcellona, Bayern e Psg. Fino a qualche anno fa la Serie A era la più ricca e prestigiosa. I migliori calciatori al mondo venivano a giocare da noi. Platini, Maradona, Gullit, Van Basten, Zidane, Ronaldo. Per non parlare degli allenatori. Negli ultimi anni anche quelli italiani hanno preferito soldi e successi fuori dai confini nazionali. Le squadre italiane non vincono trofei internazionali dai tempi del Triplete dell'Inter. Eppure il calcio in Italia è tra le prime dieci industrie per fatturato, con un giro d'affari di poco inferiore ai 14 miliardi di euro. Come fanno i club italiani a restare a galla? Non certo per gli incassi allo stadio, tra l'altro i peggiori d'Europa e obsoleti, con gli spalti troppo spesso semivuoti. I club sopravvivono grazie ai diritti tv e alle sponsorizzazioni. Diritti tv che comunque sono inferiori a quanto si sborsa per Premier, Liga e Bundesliga. Basti pensare all'esempio della scorsa stagione, quando il Sunderland retrocesso in Inghilterra ha intascato più introiti tv della Juve campione d'Italia. Poi ci sono le sponsorizzazioni e le pubblicità. Vitamine per la salute dei club ma anche delle tv, che sborsano centinaia di milioni per accaparrarsi i diritti delle partite.
Se dovesse andare in porto il decreto voluto da Di Maio sui giochi che vieta spot in tv e sponsorizzazioni, stimate all'incirca in un valore di 120 milioni l'anno, per il calcio italiano arriverebbe un'altra mazzata tra capo e collo. Che si aggiunge all'aliquota fiscale da pagare sull'acquisto di un giocatore ben più alta che in altri paesi.
La pubblicità legata alle scommesse raccolta dalle televisioni vale 70 milioni l'anno, la cui fetta maggiore della torta, 35 milioni va a Mediaset (favorita negli ultimi anni dalle esclusive su Champions e Mondiali). Eliminare le sponsorizzazioni, come vorrebbe fare il decreto dignità, trasformerebbe la Serie A in un campionato ancora più di basso livello. I migliori giocatori non verrebbero a giocare in Italia perché nessun club sarebbe in grado di pagarli secondo le richieste. Verrebbero meno ai club anche i soldi che le agenzie di scommesse pagano per esporre i cartelloni pubblicitari di metà delle società di Serie A. Contratti che vanno da 500 mila euro al milione. Inoltre la stretta sugli spot causerebbe problemi di gettito anche allo Stato (stimata una riduzione di oltre 200 milioni l'anno).
All'estero invece le agenzie di scommesse continuano a investire sui club e sponsorizzarli. Non solo nel calcio. A questo punto sorge spontanea la domanda: quando una squadra straniera con sulla maglia lo sponsor di una società di betting giocherà in Italia che si fa? La partita potrà essere trasmessa in tv?