La penna degli Altri 09/03/2018 16:33

Avevamo dimenticato l'umanità del calcio

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LA REPUBBLICA (M. CROSETTI) - Esiste ancora un paese del dolore dove nessuno si sente straniero, dove nessuno deve più sentirsi nemico. Una piazza con dentro tutte le piazze. Esiste ancora un modo di vivere il calcio in cui l’idea di comunità non è solo un sogno, e ci si stringe, nel caso si piange insieme e insieme si sorride. Firenze e l’addio a Davide Astori ci hanno ricordato che un altro mondo è possibile, e forse questo mondo già esiste e siamo noi, anzi sono loro, i calciatori. Forse abbiamo dimenticato come guardarli con occhi giusti per quello che molto spesso sono, e sono ancora: ragazzi appassionati e fragili, eroi con l’età dei nostri figli, uniti da un destino che comincia da bambini e non smette mai, sul campetto spelacchiato o nel grande rumoroso stadio. Ieri mattina è stato come se non ci fossero più colori nemici dentro il muro viola che si muoveva come l’onda del mare. La applaudita a Firenze, con amore dolente: e quando mai? Ascoltare le parole di quell’omone di Chiellini, commosso come un bimbo, e avere voglia di abbracciarli tutti cominciando da Badelij, che bello quando ha chiamato Davide “luce” e gli ha detto «i tuoi genitori devono sapere che non hanno sbagliato una virgola, con te». I calciatori, proprio loro. Quanto siamo cinici e superficiali quando, sul bordo delle cose, li riduciamo a una cresta di capelli o una ragnatela di tatuaggi e li pensiamo interessati solo a soldi, automobili, donne. In questi giorni tremendi, ma solo in apparenza insensati, i ragazzi del pallone ci hanno mostrato come si fa a volersi bene ed essere vicini, lo hanno fatto anche sui vituperati social e insieme a loro i tifosi, scesi per una volta dalla macchina dell’odio e del dileggio. Si può vivere anche senza salire lì sopra, senza salirci più. Non era facile prevedere una cosa del genere, una simile forza immediata e diffusa non solo in Italia. La morte di Davide Astori (non , non Cristiano Ronaldo ma un magnifico calciatore normale, oltre che un uomo schivo) ha davvero mostrato che il calcio mondiale è una nazione vera, tenuta insieme non solo dagli interessi ma dal sentimento, dal dovere di esserci e condividere. E bisogna apprezzare di più anche Internet, la sua potenza smisurata, un drago che a volte spaventa ma non di rado consola, e avvicina le persone.
La profondità dei minuti di silenzio di fronte al mistero della morte, al rapimento di quel giovane cuore che ha smesso di battere rallentando fino a spegnersi, ci ha detto che il calcio è ancora un luogo di valori e densità umana. Ha fatto impressione ascoltare quel silenzio a Parigi, a Wembley, a Santa Croce. Il taciturno, tenero Davide ne sarebbe stato fiero, si sarebbe sentito a casa. Amiamo i calciatori, ragazzi eterni a nome di tutti, perché ci regalano gioia e bellezza e l’illusione che il tempo si fermi, che la nostra giovinezza sia infinita anche dentro questi corpi stanchi. Ma dovremmo amarli di più per come sono, amarli come figli.