La penna degli Altri 02/11/2017 13:09
Zemaniano e poi spallettiano? La Roma è «difranceschiana»
Dicevano anche che fosse spallettiano, perché con Luciano ha lavorato come team manager nella Roma. Poi, alla fine dello scorso anno, si è creata una frattura a causa di un’innocente e quasi banale dichiarazione di Di Francesco: «Mi piacerebbe allenare la Roma, sono legato a quella squadra». Spalletti non l’ha presa bene: «C’è gente che si propone per prendere il mio posto sulla panchina giallorossa, compreso lui». Un carattere forte contro uno solo apparentemente debole: lo screzio non è degenerato, ma non si è mai davvero sanato e anche quest’anno dopo Roma-Inter ha avuto un’appendice. Nel frattempo Di Francesco ha ridisegnato la squadra giallorossa secondo le proprie convinzioni: «Sono difranceschiano, io». Crede in se stesso, Eusebio, e ha sempre tenuto a ribadirlo.
Fin da quando è arrivato a Roma, accompagnato dalle perplessità feroci di buona parte del popolo giallorosso: è un allenatore da provinciale, non da grande piazza. Non se l’è presa più di tanto. E ha scelto una via comunicativa opposta rispetto al tecnico di Certaldo: non è andato allo scontro con l'ambiente, non ha usato massime e strani giri di parole; ha raccontato in modo diretto ambizioni e problemi, a cominciare da quelli clamorosi legati ai tanti infortuni. «Non credo alla casualità, voglio vederci chiaro». E pazienza se una parte dello staff l’ha imposta dai tempi di Garcia il presidente Pallotta. Contro il Chelsea, l’abruzzese Eusebio ha fatto innamorare l’Europa, con una difesa imperforabile, non in stile Zeman, e con Nainggolan mezzala, non in stile Spalletti. Perché è difranceschiano, lui.
(corsera - S. Agresti)