La penna degli Altri 19/11/2017 13:56
Di Francesco: "Non parliamo di scudetto, dobbiamo ancora lavorare"
IL MESSAGGERO (S. CARINA) - Meglio di così, nell’ottica di Di Francesco, non poteva andare. Debutto vincente nei derby da allenatore, promessa mantenuta a Totti («Festeggeremo insieme al 90’») e ennesima stoccata indiretta a chi lo definiva integralista. Il passaggio nel finale alla linea difensiva a cinque, come accaduto già in Champions contro l’Atletico Madrid, è una delle fotografie della serata. Alla pari della condizione atletica straripante della squadra, del diagonale di Nainggolan (definito a fine partita «più che un Ninja un supereroe, 8 giorni fa aveva uno stiramento»), dell’urlo liberatorio di De Rossi e della corsa accennata, poi interrotta e infine ripresa timidamente da Eusebio per andare a salutare la Curva Sud al fischio finale. Tante diapositive che si accavallano in una serata che difficilmente dimenticherà: «Meglio vincere il derby da calciatore o da allenatore? Oggi mi tengo quella da allenatore». Difficile dargli torto. Un derby non è una partita come le altre. Lo aveva detto alla vigilia e lo conferma in sala stampa, quando spiega come l’ha vinto: «Nel primo tempo non abbiamo concesso niente, poi nella ripresa abbiamo cambiato passo e schiacciato la Lazio, alzando la pressione e rischiando negli uno contro uno. Ora l’importante è non adagiarsi. Chi lo fa starà seduto un bel po’».
NORMALE ONE - Qualcosa nella Roma è scattato da tempo. Forse dalla notte di Londra. Di Francesco sorride: «La cosa difficile, soprattutto in uno spogliatoio come quello della Roma, è entrare nelle teste dei ragazzi». Eusebio c’è riuscito, in meno di tre mesi. E ora che potrebbe iniziare a togliersi qualche sassolino dalle scarpe, rimane umile. E pensare che dopo aver interrotto la serie di 9 vittorie di fila della Lazio, averla superata in classifica e almeno per una notte, agguantato l’Inter e essersi portato a un punto dalla Juventus seconda (potendo contare ancora nel recupero contro la Sampdoria), ci sarebbe spazio per lasciarsi andare. Lui preferisce volare basso: «Lo scudetto? Dobbiamo ancora lavorare tanto ma siamo in crescita. Non ne parliamo, all’inizio nessuno ci ha dato per favoriti e a me va benissimo così». Non solo a lui.