La penna degli Altri 15/10/2017 15:51
Sacerdoti, il patron epurato che fece grandi i giallorossi
LA REPUBBLICA - Travolto dall’odio antisemita di regime, fu incarcerato, poi inviato al confino per quasi cinque anni e si salvò dalle deportazioni nascosto in un convento travestito da frate. Finì male la sua parabola di “marciatore”, nata luminosa poi anche additato dagli ebrei come rinnegato e dai cattolici come un corpo estraneo, opportunista. Era il papà amatissimo della As Roma Calcio, che fondò nel ‘27 insieme a Italo Foschi, e fu lui che nel ‘29 costruì il glorioso Campo di Testaccio, con le tribune di legno e i colori giallorossi, su disegno dell’ingegner Silvio, il padre di Franco Sensi. Prima di lui, Sacerdoti ne fu anche il presidente più longevo. L’affetto dei tifosi veniva cantato nel finale dell’inno di quegli anni: “Fin che Sacerdoti ce sta accanto, porteremo sempre er vanto, Roma nostra brillerà”. Tuttavia, nonostante il pedigree da camicia nera, il suo fitto carteggio con Mussolini e le migliaia di tifosi giallorossi che lo adoravano, finì nel tritacarne del pregiudizio e della violenza fascista.
Lui finì travolto dalle leggi razziali, di cui il prossimo anno cade l’ottantesimo anniversario come Raffaele Jaffe, presidente del Casale Monferrato, morto ad Auschwitz nel girone dei “troppo vecchi”, e come Giorgio Ascarelli, patron del Napoli, che fece costruire uno stadio di proprietà, il Vesuvio, poi a lui intitolato, e lì, in un impianto dedicato a un ebreo, la Germania hitleriana vinse il Mondiale del ‘34.
Le loro storie riemergono in un piccolo e documentatissimo libro di Adam Smulevich, Presidenti, le storie scomode dei fondatori delle squadre di calcio (Giuntina). Sacerdoti l’ultimo Natale prima delle leggi razziali del 1938, si converte al cattolicesimo e ancora, per vari mesi, continua ad operare al servizio del fascismo. Poi, la valanga dell’odio. Nelle carte dell’Archivio centrale dello Stato si trova, tra l’altro, la sua lettera a Mussolini nella quale arriva a elencare il suo cursus honorum di italiano e fascista: “Soldato a 17 anni, ho partecipato a tutte le nostre guerre uscendone ferito e onorato al valore… Volontario nella guerra d’Etiopia, fascista dal ‘20, squadrista e partecipante in armi alla Marcia di Roma. Vi chiedo di consentirmi che i prossimi eventi mi trovino al mio posto di combattimento”, implorando così di andare volontario al fronte.
Non ne venne fuori, per salvarsi la vita dovette nascondersi per quasi un anno in un convento di frati, perse moglie e figlio, e solo amarezza e dolore lo avvolsero quando nel ‘42 la sua Roma vinse lo scudetto. C’era la guerra, e in premio ai giocatori arrivò solo un portachiavi.