La penna degli Altri 28/05/2017 14:39
Quella notte pazzesca a Berlino
IL TEMPO (T. CARMELLINI) - Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo! Pirlo, Materazzi (due volte), De Rossi, Del Piero e Grosso, una sequenza che entrerà nella storia del calcio, nella storia dell’Italia. Ancora la Francia, ancora i rigori, ancora Trezeguet, ma stavolta il finale è diverso e dice che i più forti del mondo siamo noi. L’Italia di Lippi vince ai rigori la finalissima di Berlino davanti ai settantacinquemila dell’Olympiastadion letteralmente in delirio. Vendetta è compiuta: sei anni e sette giorni dopo l’Italia si prende la meritata rivincita sempre contro Zidane. Contro la Francia, con la quale al Mondiale non vincevamo da ventotto anni. L’attacco del pezzo pubblicato su Il Tempo del 10 luglio 2006 è la sintesi migliore di quella sera incredibile vissuta da Totti e da tutta l‘Italia a Berlino. Chi scrive era lì a raccontarlo per questo giornale, a raccontare un pezzo di storia del nostro calcio nel quale Francesco Totti ha saputo scrivere contro tutto e tutti il suo nome. Perché nessuno, forse nemmeno lui, dopo quell’orrendo 19 febbraio ci avrebbe scommesso un euro. Nessuno pensava che Totti, nemmeno cinque mesi dopo il «grande infortunio», avrebbe potuto alzare al cielo la Coppa del Mondo in quella notte magica di Berlino. Perché per raccontare l’avventura azzurra del Capitano al mondiale di Germania 2016, non si può non partire da quel pomeriggio assolato all’Olimpico, da quella brutta entrata di Vanigli. Era Roma-Empoli e il modo innaturale di cadere del Capitano quasi ripiegato su se stesso, quelle smorfie di dolore, avevano fatto capire subito l’entità dell’inforunio .«Totti s’è rotto!» è stato il commento a caldo di tutti, addetti ai lavori e non. Frattura del perone sinistro è stata la sentenza e implacabile il commento successivo: «Addio mondiale». E invece Totti ci ha sempre creduto e più di lui l’allora tecnico della nazionale Marcello Lippi che per il romanista ha sempre avuto un debole. «Ti aspetto, rimettiti in piedi e ti porto con me in Germania» è stato lo stimolo del ct. Da lì è partita la rincorsa di Totti che ha dimezzato i tempi del recupero lavorando sodo giorno e notte: fisioterapia, dieta serrata, una macchina da guerra con un solo obiettivo: andare al mondiale. Così, quando la nazionale a fine giugno, è partita per la Germania Totti è salito a bordo di quell’aereo contro tutto e tutti avendo al suo fianco «solo» il ct e qualche «amico» all’interno dello spogliatoio. Ma il gruppo si è poi forgiato e unito col passare dei giorni, delle partite e ha avuto proprio nel giallorosso un aiuto fondamentale per il successo finale. Chiaro, è stato un Totti forse al 50% della sua condizione ottimale, ma sempre comunque in grado di fare la differenza.
Un torneo iniziato in sordina come un po’ tutto il gruppo azzurro, che ha vuoto la sua svolta nell’ottavo di finale contro l’Australia a Kaiserslautern. Il capitano della Roma entra al 29′ della ripresa al posto di uno spento Del Piero e si prende una di quelle responsabilità enormi andando sul dischetto a tempo praticamente scaduto. Quando l’arbitro Cantalejo assegna il rigore in molti tra gli azzurri fanno i «vaghi», perché su quel pallone pesa una responsabilità pazzesca. Totti va verso il pallone e dice: «Datelo a me, ci penso io». Il giallorosso trasforma l’occasione in qualificazione e l’Italia intera esplode insieme al suo destro che trafigge Schwarzer: il rigore perfetto… forte sotto al sette. La corsa liberatoria, l’abbraccio del gruppo azzurro che avvolge il romanista e l’euforia generale sono direttamente proporzionate alla precedente paura di non farcela. Già, perché nonostante il passaggio del turno, l’Italia a quel punto ancora non convince del tutto: a tratti per nulla. Gioca benino una prima parte di gara nella quale però, come spesso successo fin li, non riesce a passare, poi resta in dieci per un’espulsione esagerata di Materazzi ad opera del pessimo fischietto spagnolo Cantalejo, quindi si chiude lì dietro e rischia di brutto prima del «coniglio» estratto dal cilindro di Grosso. Il difensore del Palermo mette Totti da solo davanti al portiere con palla sul dischetto. E il gioco è fatto. L’altro passaggio chiave dell’avventura verso Berlino è stata la semifinale contro i padroni di casa della Germania a Dortmund: una battaglia. Anche qui il capitano ci ha messo del suo, soprattutto nella prima metà parte di gara, quando ispira i compagni in attacco. Poi il brutto fallo di Borowski che il giallorosso accusa e, probabilmente, condiziona la sua ripresa. Ma al termine della nota battaglia del secondo tempo e poi dei supplementari, in finale andiamo noi. Germania beffata un’altra volta. Meno fortunata, o comunque brillante, proprio la serata della finalissima a Berlino. Quella per il Capitano, dal punto di vista calcistico, non è una passeggiata. Lippi li chiede sacrificio e lui esegue come un comprimario qualsiasi. È probabilmente il passaggio chiave della carriera di Totti che, scegliendo di rimanere alla Roma, ha in un certo senso consapevolmente rinunciato all’ambizione di vincere tutto. Ma questo Mondiale, pur giocato sotto il suo rendimento massimo, resta lì come una perla incastonata all’interno di una carriera che ha fatto della passione e dell’amore per la Roma il suo diktat.