La penna degli Altri 26/05/2017 21:36
Lettera a Francesco, figlio di Roma
Nell’album c’è una fotografia che più di tutte racconta il nostro amore per te.
È estate, siamo a Kaiserslautern, Germania. È il 26 giugno 2006. Quella Nazionale che ti ha sempre voluto a metà è agli ottavi di finale del Mondiale. Entri al 75esimo. Quindici minuti più tardi mandi in porta Grosso che cade goffo in area. Rigore.
Chi te lo fa fare France’. Quanto pesa ‘sto pallone, lascia perdere. C’è Pirlo. Quante te ne diranno se lo sbagli. Non ti meritano, non vedono l’ora di ucciderti. Non sarai mica così scemo da fargli il pallonetto, e se te lo para? Dove cazzo sta Pirlo? Quando fischia?
Passa qualche centesimo di secondo tra il momento in cui il piede destro colpisce violentemente il pallone - tutto il peso va sul piede sinistro, la placca di metallo regge, Vanigli ti abbiamo già perdonato - e il momento in cui il pallone varca la linea senza che Schwarzer ci metta la mano. Gol.
Ed è una liberazione. Esultiamo non perché è successo qualcosa di bello – anche per quello, certo – ma soprattutto perché non è successo qualcosa di brutto. Ai quarti contro chi giochiamo? Chi lo sa e chi se ne frega. Francesco ha segnato quel rigore, Francesco è salvo. Noi siamo salvi con lui, siamo salvi per lui. È il sollievo di mamma e papà al ritorno dalla prima notte fuori casa, all’uscita dei quadri scolastici, dopo un capitombolo dal motorino senza conseguenze.
Ecco cosa sei stato. Il figlio di una città.
Tre milioni di genitori che hanno visto nascere e crescere e sorridere e vincere e sbagliare e piangere e perdere questo bambino biondo. Prima troppo timido, troppo imbronciato, troppo impacciato, troppo romano. Poi troppo sfacciato, troppo al centro, troppo arrogante. E sempre troppo romano. Perché Roma ti ha fasciato e tu hai fasciato Roma. Indissolubilmente, orgogliosamente. Senza scampo. E dovunque andrai.
Quanti ora si alzano in piedi e battono le mani compiaciuti. Solo ora.
Dopo lo sputo, il calcione, dopo una reazione scomposta, un cartellino rosso facile c’erano tre milioni di mamme e di papà a difenderti in pubblico e a strigliarti in privato. Che gli dice la testa, va punito, sarà un momento, crescerà: ci riunivamo a tavola quando il piccolo era già in camera sua. Ascoltate le reprimende dei maestri, letti i grandi editoriali, i referti degli psicologi e le massime dei sociologi, c’eravamo noi a farti da scudo, a schivare le bordate. E a tirarti le orecchie quando non guardava nessuno. Perché coi figli così si fa. E se il mestiere del genitore è il più difficile del mondo, esserlo di Francescotottituttoattaccato è stato solo un vanto.
Totti gioca? Come sta Totti? Ha segnato Totti? Hai visto che palla di Totti? Come Totti! Ai banconi dei bar, nelle cucine dei ristoranti, nei corridoi delle case e delle scuole, intorno ai campetti di periferia il tuo nome rimbombava forte, ogni giorno. Indiscusso mantra anche dei meno calciofili, dei più timidi, dei più cerebrali, dei meno focosi. Trending topic prima ancora di Twitter, immagine di copertina prima ancora di Facebook. Gol su gol, assist su assist: l’impetuosa emozione costante di vedere in campo qualcosa di nostro, sangue del nostro sangue. Una città in un corpo, in una maglia, in un numero.
Guardandoci indietro non c’è rimpianto, non c’è dolore. Resta solo il boato, l’urlo di gioia più forte. Solo la luce del più grande amore di Roma. Figlio nostro per sempre.