La penna degli Altri 04/05/2017 14:02

Giannini: "Totti ora non lasci la Roma. Anche dopo il ritiro puó fare ancora tanto"

Giannini

LA REPUBBLICA (F. FERRAZZA) - L'inseparabile pallone con cui dormire e il poster di Giannini sopra il letto di una cameretta piena di sogni. Chissà se tra i confusi pensieri delle settimane che lo separano dall’addio al calcio, a torna ogni tanto in mente quell’immagine di lui ragazzino, pieno di talento e voglia di raggiungere il suo mito, il numero dieci, quel ‘Principe’ col quale, qualche anno dopo, avrebbe condiviso la stanza in ritiro. «Ricordo il primo giorno che Francesco è stato in camera con me – sorride Giannini – non parlava, stava lì zitto ed io provavo a chiedergli qualcosa, a coinvolgerlo nei discorsi. Alla fine, dopo due giorni, si è sciolto. Mi è rimasto impresso questo di Francesco. Poi penso agli allenamenti, i primi con lui, alcuni momenti, quando io con altri compagni anziani avevamo parlato con l’allenatore e gli dicevamo che era bravo, molto forte e ci poteva dare una mano».

Come si gestisce un addio al calcio così difficile dopo 25 anni di carriera?
È un momento particolarmente amaro, perché ti accorgi che una parentesi importante della tua vita si sta chiudendo. Ma ne ha subito pronta un’altra, gli si spalanca un’altra porta. È agevolato rispetto ad altri, perché smette e ha subito qualcosa a cui pensare, e questo deve essere uno stimolo, non ti fa buttare giù. Sarà deluso e arrabbiato, ma avrà un ufficio all’interno della Roma, una scrivania, un tablet, persone diverse dal campo che lo possono aiutare e stimolare».

L’immediato futuro da dirigente potrà quindi aiutare a rendere meno amaro l’addio al calcio?
«Col suo carattere, per aiutarsi, deve vedere le cose sotto questo punto di vista, trasformare subito il suo stato d’animo. Buttarsi da dirigente dentro Trigoria, cambiare subito i pensieri».

In che ruolo può essere utile alla società giallorossa?
«Per la Roma è un po’ il cacio sui maccheroni, perché è proprio il momento adatto per la società di avere una figura che è stata così forte sul campo e che sia riconoscibile come dirigente. Diventerà un punto di riferimento fuori, come lo è stato sul campo. Questo deve essere l’obiettivo di Francesco, per la sua grandezza, per la sua carriera, deve necessariamente diventare un simbolo per tutti lì dentro, giovani, anziani, tifosi, tutti. Diventerà l’emblema, e gli auguro di esserlo come lo è stato sul campo».

Dopo e , è finita l’era delle bandiere?
«Ma no! Poi ci sarà , speriamo non finisca mai l’era delle bandiere. Lui è un ulteriore simbolo a Trigoria, e gli auguro una lunghissima carriera da romanista. Dopo Francesco e Daniele, c’è , e poi deve diventare una tradizione il fatto di tenerli in società quando smettono di giocare. Come quando la fece la scenografia con i capitani e le bandiere, quello deve essere lo spunto, deve essere un ragionamento fatto anche dalla società, deve essere un vanto averli dentro Trigoria, prima come giocatori, poi come dirigenti».