La penna degli Altri 09/03/2017 17:48

«Vesuvio lavali» una vergogna da 10 mila euro

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IL MATTINO (P. TAORMINA) - È da un bel po' di tempo che urlare "Vesuvio lavali con il fuoco" non costituisce più comportamento discriminatorio: è da un po' di tempo che non si arriva alla chiusura dei settori dello stadio per insulti o denigrazioni di origine territoriale. I cori beceri contro e i napoletani, sentiti in questa stagione al Dall'Ara di , allo Stadium di Torino (sia in campionato che in Coppa Italia) e all'Olimpico di Roma, ormai valgono una semplice multa, quasi mai eccessiva. De Laurentiis, l'altra sera, al termine della gara con il , ha sottolineato come forse il limite sia stato superato. «Una volta ci ridevo sopra, ma adesso no. Lo trovo disgustoso augurare a un popolo di essere "lavato" dal Vesuvio, io non mi sono mai sognato di augurarlo a nessuno». E proprio così: per la Figc dare del «coleroso» o augurare «l'eruzione del Vesuvio» a un napoletano è diventato al massimo un'offesa, non certo razzismo.

Le norme del 2013 (che portarono a numerose chiusure di settori: , , , Milan e altri) erano effettivamente un pasticcio, mai chiarite davvero neppure all'Uefa che colpivano alla rinfusa. Ma adesso è peggio: invece di correggerle e migliorarle si è pensato bene di abolirle. Se non ufficialmente, almeno nella sostanza. 10mila euro vale quel coro dell'odio contro i napoletani, che si sente ormai ovunque negli stadi d'Italia. In pratica, oggi le multe per denigrazione territoriale, in serie A, sono inferiori a quelle pagate se un raccattapalle fa sparire un pallone. Un reato letteralmente depenalizzato, nella pratica.

Spiega uno degli esperti di giustizia sportiva, Eduardo Chiacchio. «Il punto non è che queste norme sia state cancellate, il punto è che il giudice sportivo oramai sta dando maggiore importanza al comportamento del resto dello stadio e al ruolo del club: così come previsto dallo stesso codice di giustizia sportiva, la società che risponde a titolo di responsabilità oggettiva dell'operato dei proprio tifosi, gode dell'attenuazione della pena sia quando una parte del pubblico si dissocia da questi cori o quando gli speaker dello stadio avvertono dei rischi di sospensione».

A quel punto la sanzione diventa un'ammenda. Come è successo negli ultimi tempi. La formula magica adottata del giudice sportivo per "liberare tutti" e cancellare la "tolleranza zero" sbandierata ai quattro venti appena quattro anni fa è la seguente: «Per avere la Società concretamente operato con le Forze dell'Ordine a fini preventivi e di vigilanza». Semplice. E così il pugno duro diventa un ricordo e spunta la carezza. E i razzisti da stadio tornano a essere giudicati non come violenti (certi cori sono fucilate), ma come simpatici giocarelloni che si divertono con degli sfottò. Non è un paradosso: l'ultima volta che una curva è stata chiusa è stato dopo del 25 aprile scorso. In quel caso, oltre ai cori discriminatori, si superò il limite della decenza con gli insulti alla mamma di Ciro Esposito. , il padrone della Roma, sbottò contro i suoi tifosi: «Siamo stufi di questi fucking idiots», e la traduzione è praticamente superflua.

Il risultato di questo dietrofront della giustizia sportiva è una memorabile confusione. Perché il nostro calcio aveva provato a fare la voce grossa, aveva deciso di essere duro e severissimo, salvo mostrare il solito cuore tollerante. Dalla voce grossa è uscito un mezzo sospiro e così si è tornati indietro ad annidi impunità e vergogna a cui invece pareva di essere stato messo un freno: ma non è così. Il diritto pretende certezza, ma la confusione è massima visto l'andamento ondulatorio delle sanzioni. Molto dipende dalle relazioni degli ispettori del giudice sportivo. Qui, l'uniformità è essenziale, dunque Mastrandrea farebbe bene a convocare il suo staff per fissare i "paletti" su cui poi far basare le sentenze. La svolta nel 2014, con l'avvento di Tavecchio, appena rieletto: primo consiglio federale e decisione di derubricare la "discriminazione territoriale" a semplice "oltraggio". Cancellandola dall'articolo 11 del codice di giustizia sportiva, che regola i casi di razzismo. Il motivo? I grandi club hanno sempre temuto di finire ostaggio dei proprio ultrà: se loro sbagliano, pagano le società. E allora tutti tranquilli: urlare "colerosi" o "Vesuvio lavali con il fuoco" garantisce al massimo un'ammenda. Spiccioli, per un grande club. Quel che conta è aggiungere la formula magica: «Per avere la Società concretamente operato con le Forze dell'Ordine a fini preventivi e di vigilanza».