La penna degli Altri 01/03/2017 13:20
Lo strano primato di Roma la nuova capitale del calcio e il derby per pochi intimi
LA REPUBBLICA (G. CARDONE/M. PINCI) - Il derby di Roma? Quasi un derby d’Italia. E non solo perché Lazio e Roma si giocano l’accesso alla prima finale della stagione (il 5 aprile il ritorno): la capitale d’Italia da tre anni è diventata la capitale del calcio italiano. Nessun’altra città, negli ultimi tre campionati, ha fatto più punti. Giallorossi e biancocelesti insieme, dal 2014-15 in poi, viaggiano a quota 382: 120 più di Sampdoria e Genoa, 26 più di Inter e Milan, 4 in più di Juventus e Torino. Superata proprio nel corso di questa stagione, quella che doveva segnare il rilancio delle milanesi e invece conferma la capacità di lottare al vertice di Pallotta e Lotito, nemici giurati sui tavoli della politica sportiva ma capaci di costruire due squadre stabilmente al vertice. Leader pure per gol realizzati, 362 in 3 campionati: una tendenza confermata nei derby, gli ultimi cinque hanno prodotto più di tre reti a partita. Eppure, la capitale della serie A non è la capitale dei tifosi.
Nonostante la finale di Coppa Italia in palio e il rendimento delle sue squadre, Roma deve arrendersi ancora una volta a vivere una sfida senza tifosi o quasi: appena 27mila i biglietti venduti. E pensare che le condizioni perché l’Olimpico si scaldasse stavolta c’erano tutte: il derby che torna in notturna a distanza di quattro anni dall’ultima volta (l’8 aprile 2013), facendo felici i vertici Rai che si sono assicurati il torno in prima serata a colpi di milioni di euro (22 all’anno). E poi la decisione delle istituzioni di “dimezzare” le barriere della discordia nelle due curve, come da direttiva del capo della polizia Gabrielli, portandole a 1 metro e 10. Nulla da fare comunque: la Sud romanista resterà semideserta com’è ormai da 18 mesi (giusto 9 mila biglietti venduti tra i giallorossi), la Nord laziale dovrebbe invece colorarsi, ma lo aveva fatto pure a dicembre. Quando però a festeggiare furono Nainggolan e Strootman.
In fondo, per la Lazio il derby è diventato una maledizione: quattro sconfitte negli ultimi quattro, cinque negli ultimi sette. I biancocelesti sono a digiuno dal 26 maggio 2013, quando la squadra allora di Petkovic conquistò proprio la Coppa Italia. Da allora, il buio. Se non bastasse, in campo stasera Inzaghi manderà un undici tabù: nessuno dei titolari ha mai vinto un derby, viste le squalifiche di Lulic e Radu e il forfait di Marchetti, unici superstiti di quel trionfo. Il giorno della “coppa in faccia” ai romanisti è stato anche l’ultimo confronto di coppe tra le due: un match senza eredi, visto che Spalletti sembra orientato a cedere a un lievissimo turnover, per far riposare l’affaticato De Rossi, uno dei reduci romanisti di quel ko insieme a Totti e Lobont. Fuori anche uno tra Emerson (ancora dolorante) e Rüdiger, oltre a Szczesny, che continuerà a lasciare ad Alisson il mestie- re di portiere di coppa. «Loro sono favoriti», dice Inzaghi invocando la scaramanzia delle stracittadine che premia tradizionalmente chi parte svantaggiato. Però spiega: «Hanno una rosa talmente forte che si permettono di lasciare in panchina giocatori come Perotti e El Shaarawy. E sono allenati bene». Così ha deciso di utiliz- zare lo stesso modulo di Spalletti, difesa a 3 e due trequartisti (Anderson e Milinkovic) alle spalle di Immobile: «La Roma non ci fa paura», assicura. Il collega giallorosso resta cauto: «Non mi fido della Lazio, e chi dice che siamo favoriti ci prendeva in giro solo pochi mesi fa». Ma sa che questa partita «non vale doppio, vale triplo». E non serve un rabdomante per leggerci un riferimento all’idea di lottare su tre obiettivi. Alla faccia della scaramanzia