La penna degli Altri 08/01/2017 18:52
Calciopoli, Gazzoni: "Juve e Fiorentina mi devono ancora 70 milioni"
AVVENIRE (M. CASTELLANI) - Si è appena chiuso il sipario sul decennio noir (2006/2016) del pallone italico, quello contrassegnato dallo scandalo indelebile di Calciopoli. Dopo quell'estate mondiale di Germania 2006 nei nostri stadi forse nulla è più stato lo stesso. Ma per capire la portata degli eventi catastrofici che hanno ulteriormente minato le fragili fondamenta del sistema calcio nostrano bisogna parlarne con chi ancora porta impresse sulla pelle («e nella memoria») le ferite di quello tsunami assai poco sportivo. Appuntamento allora in un antico caffè del centro di Milano col Presidente che arriva trafelato portandosi dietro il fascino melanconico di uno di quei personaggi dei film di Pupi Avati ambientati nella Bologna degli anni ‘40-‘50 del Novecento. Bologna è anche la città del Presidente, il cavalier Giuseppe Gazzoni Frascara - classe davvero di ferro, 1935 - che fino a dieci anni fa era anche il proprietario del Bologna Football Club 1909. Società che aveva rilevato dalle ceneri del fallimento alla meta degli anni 80, fatta ripartire dalla serie C e trascinata in Europa (una Coppa Intertoto e la semifinale di Coppa Uefa, stagione 1988/89) regalandosi gemme preziose del calibro di Roberto Baggio, Kennet Andersson e Beppe Signori. Poi, lo "tsunami Calciopoli". E ora, dalle macerie provocate dal sisma pallonaro, riemerge la sola vittima, forse, riconosciuta, appunto il cavalier Gazzoni Frascara.
La sua Calciopoli però, Presidente, comincio un anno prima: stagione 2004/2005, retrocessione in B del Bologna dopo gli spareggi persi contro il Parma.
«Beh, le partite con Juventus e Lazio sono state oggetto di inchiesta. Le ammonizioni degli arbitri contro i nostri giocatori diffidati erano mirate a indebolirci e metterci in difficoltà fino a ottenere l'obiettivo prefissato dal "sistema": spedirci in B. Le ultime partite di quel campionato sono state manovrate ad arte. Chi ha lavorato meglio e nell'ombra si è salvato, mentre il mio Bologna che giocava solo sul campo e non su altri tavoli, non ce l'ha fatta...».
Calciopoli uguale arbitropoli?
«Se ci basiamo sul numero dei condannati no, degli arbitri in fondo hanno punito solo De Santis. Rispetto al calcioscommesse del 1980, nel 2006 non c'e stato neppure passaggio di denaro per combinare le partite: il sistema funzionava essenzialmente sulle "promozioni" degli arbitri. Un fischietto promosso arbitro internazionale arriva a guadagnare anche 200-300 mila euro l'anno... Un bell'affare, no? I dirigenti dell'Aia di allora andavano a cena con il dg della Juventus Luciano Moggi e quello che si dicevano e hanno poi messo in atto lo sanno soltanto loro».
Torniamo dunque all'assioma: Calciopoli uguale Moggiopoli.
«Di sicuro Luciano Moggi e stato il più grande costruttore e al contempo il maggiore distruttore di calcio che si sia mai visto. Aveva messo in piedi una Juventus stellare, era la squadra più forte del mondo: nella finale di Berlino 2006 tra Italia e Francia in pratica giocavano solo bianconeri... Il guaio di Moggi è stato che, non ricevendo più soldi dalla proprietà, ha inventato le "super-plusvalenze". Appoggiandosi alla Gea, la società di famiglia, controllava squadre intere, dalla Serie A alla C. Moggi aveva creato un impero personale, ma ha anche disintegrato realtà come Messina, Reggina e Siena, club pieni zeppi di giocatori della Gea che poi sono retrocessi sul campo e falliti finanziariamente».
E tutto questo Moggi a riuscito a farlo grazie agli arbitri e alla Gea?
«Non solo. A determinare Calciopoli hanno contribuito presidenti che pagavano le plusvalenze convinti di fare l'affare della vita con il loro amico Luciano, che intanto faceva mangiare altri dirigenti, procuratori e anche alcuni giornalisti. Che al vecchio Aldo Biscardi nel suo "Processo" televisivo intimavano di non mostrare i fuorigioco a sfavore della Juve o delle protette di Moggi non me lo sono mica inventato io... Ci sono intercettazioni telefoniche e prove serie messe agli atti, andate a rileggere quei faldoni, la storia è nelle carte processuali».
Lei si ritiene davvero l'unica vittima di Calciopoli?
«Sicuramente sono uno dei pochi che ha denunciato e l'unico che ha avuto il coraggio di dire che i campionati dal 2004 al 2006 sono stati falsati da un'organizzazione che è stata condannata dalla giustizia sportiva e anche da quella ordinaria. Ma a me devono ancora risarcire danni pecuniari per circa 70 milioni di euro. E quello che devono alla mia società di famiglia, la Victoria 2000, che ai tempi controllava il Bologna Fc. Anche la Cassazione ha stabilito che quel risarcimento ci spetta in quanto parte lesa».
Ma voi questo risarcimento l'avete chiesto alla Juventus e alla Fiorentina con tanto di denuncia per "falso in bilancio" da parte delle due società.
«Anche questo lo dice la Cassazione: era loro dovere accantonare quei soldi a bilancio come risarcimento al Bologna Fc, ma non l'hanno fatto. La Juve, che è responsabile per il 70% di Calciopoli, è stata furba nel riuscire nel processo ordinario ad addossare tutte le colpe a Moggi e a far si che venisse prosciolta in quanto lo stesso Moggi agiva anche per interesse personale. Nel processo a carico di Antonio Giraudo, dove non figurano parti civili, è indubbio che invece l'ex ad bianconero lavorasse esclusivamente per la Juve. La Fiorentina in tutto questo c'è dentro per un "pezzetto", diciamo il 30%, perché non le viene imputata l'associazione a delinquere ed è responsabile per gli ultimi tre mesi di Calciopoli, in cui comunque i viola si sono salvati dalla B, mentre il mio Bologna retrocesse ingiustamente».
I fratelli Della Valle non l’hanno presa bene e minacciano querele nei suoi confronti.
«I Della Valle si erano agganciati al treno di Moggi. Il mancato accantonamento di quei 70 milioni che devono rientrare nelle casse della Victoria 2000 sono un illecito amministrativo che va sanato dalla Juventus e dalla Fiorentina. I miei avvocati lavorano per questo e attendiamo fiduciosi le sentenze della giustizia».
Ma "sanare" il danno equivarrebbe a un’ammissione di colpa da parte delle due società.
«Il danno di immagine, qualora venisse accertato l'illecito, indubbiamente ci sarebbe. Ma è anche vero che nella Juventus attuale si ritrova lo stile impresso dall'Avvocato e da Umberto Agnelli, che è stato mio compagno di liceo a Torino. Questa Juve di Allegri mi piace molto, è fortissima e speriamo che domani (oggi, ndr) non faccia tropo male al "mio" Bologna (sono Presidente onorario dal 2014). Andrea Agnelli mi è simpatico, lavora tanto e bene, è il degno figlio di Umberto».
Andrea Agnelli le sta simpatico però, intanto, lei gli chiede i danni. Ma le altre grandi del calcio in quegli anni torbidi di Calciopoli che facevano, dormivano dinanzi alla Juve che spadroneggiava fuori e dentro il campo?
«Sul piano strettamente legale va anche detto che quella bianconera è la stessa società di Calciopoli: sono ripartiti con una macchia che non hanno pulito. Le altre grandi di allora che facevano... Beh, il Milan si difendeva grazie a una dirigenza da sempre molto scaltra, ingenuamente faceva telefonate senza malizia. La Lazio aveva trovato l'escamotage della norma spalmadebiti con Lotito premiato nel 2007 come presidente "più virtuoso" della Serie A e la Roma si era salvata dal crac con le fidejussioni. Lo scenario era questo e Calciopoli aveva trovato un terreno fertile».
Oggi potrebbe ripetersi uno tsunami devastante come quello del 2006?
«Non dico che è impossibile, ma è molto improbabile. Le società si sono date delle regole precise e adesso cercano di rispettarle. Esiste ancora un problema di trasparenza, giocatori venduti e comprati in "nero", oppure il fenomeno diffuso del club "cenerentola" che sale in Serie A solo per andare all'incasso. Una neopromossa soltanto di diritti tv oggi intasca almeno 20 milioni di euro e retrocedendo subito ha un paracadute di 10 milioni. Se al club il giochino riesce un paio di volte nell'arco di due-tre anni, il suo presidente ha fatto bingo. Almeno questo dieci anni fa, quando mi hanno "fatto fuori", non succedeva».