La penna degli Altri 16/09/2016 22:40
Non è mai troppo tardi
AS ROMA MATCH PROGRAM (T. RICCARDI) - Oggi, che ha quarant’anni, tutta Italia se n’è accorta. Francesco Totti è diventato un campione universale, spendibile a tutte le latitudini. Finalmente. “Non è mai troppo tardi”, diceva il professore Alberto Manzi negli Anni 60 in tv nell’omonimo programma Rai. Ce ne è voluto di tempo affinché il numero 10 di Porta Metronia venisse apprezzato oltre i confini romani, senza pregiudizi di sorta legati soprattutto alla provenienza. Era ora che fosse riconosciuto da Nord a Sud come un calciatore infinito e straordinario, il migliore italiano di tutti i tempi, sicuramente il top del dopo guerra. È idea corrente di tanti opinionisti, televisivi e non. Sono ormai lontani i tempi dello sputo a Poulsen in Italia-Danimarca, nell’Europeo del 2004 in Portogallo, quando la stampa nazionale lo impalò mediaticamente. Sul quotidiano Libero, in un pezzo intitolato “Totti gioca male, ma sputa bene”, gli furono “dedicate” queste righe. Giusto uno stralcio: “Già molti e prima di ieri nutrivano il dubbio che Francesco Totti fosse uno poco presentabile fuori dal Grande Raccordo Anulare. Non perché sia un tipo cattivo, semplicemente perché le facce contano e con quella faccia, se non si fosse impiegato nel calcio, Totti avrebbe avuto un futuro nel ramo del precariato. Bisogna immaginarsi un pomeriggio assolato a Tor Bella Monaca, Totti seduto sulla sua Kawasaki, jeans, t-shirt bianca, pacchetto di Marlboro arrotolate nella manica, sigaretta pendente dalle labbra o incastrata sopra l’orecchio; forse ha un fidanzata: zeppe, minigonna e chewing gum. Sta prendendo accordi con un tal Nando, stasera andranno a farsi una coda alla vaccinara da Nestore, forse Nando ha un posto in ditta per Francesco, un paio di mesi, poi si vedrà. Intanto pijate ‘sti cinquanta euro, e pensa a mamma tua. (…) Sputare in faccia a qualcuno è da bulletti e da vili, funziona sulla Casilina se uno guarda troppo a lungo la tua fidanzata, non per vincere il Pallone d’Oro”. Soliti cliché e qualunquismo becero sui romani.
L’azione fu deprecabile, nulla da eccepire, ma nessuno si soffermò sulla reiterata provocazione del centrocampista danese. Come fecero, ad esempio, i francesi con Zidane dopo la testata a Materazzi. Quando, poi, lo stesso Poulsen utilizzò la medesima strategia con i giocatori del Milan in Champions League nel 2005, in una sfida tra rossoneri e Schalke 04, i tesserati milanisti – Galliani, Ancelotti, Maldini in testa – si affrettarono a dichiarare: “Ora capiamo Totti”. Non è mai troppo tardi. E sono pure lontani i tempi del Mondiale 2006, quando parte del Bel Paese aspettava un suo errore dal dischetto contro l’Australia per sentenziare che era meglio Del Piero o qualche altro nel ruolo. Quel rigore lo tirò, mentre i compagni di squadra si allontanarono dalla sfera. Segnò, e rispose con i fatti a chi lo voleva in panchina. Tipo Riccardo Signori, che su “Il Giornale” analizzò le prestazioni: “Passeggia come se portasse in giro il pupino. Se continua così, è soltanto una palla al piede”. Giancarlo Padovan su Tuttosport rilanciò: “Non sarà certo un rigore a farmi cambiare idea (…) Caro Totti, spero di far parte della sua lista di proscrizione”. A Roma, a casa sua, la gente romanista esultò davanti alla televisione come se avesse segnato con la maglia giallorossa. Fu un gol decisivo per accedere ai quarti di finale. Ma non gli bastò, allora. Non gli bastò un Mondiale vinto grazie anche al suo contributo per entrare nell’immaginario nazionale. Non fu il miglior Totti della storia, non poteva esserlo. Si era rotto una caviglia quattro mesi prima. Fu già un miracolo vederlo in campo a un livello di forma accettabile. E invece un paio di mesi dopo il trionfo intercontinentale, gli scrissero pure che “Cassano con il 10 di Diego ha già fatto più di Totti”. Alla fine di una partita pareggiata 1-1 con la Lituania, valevole per la qualificazione agli Europei, dove Cassano nemmeno segnò. Francesco – a 31 anni – aveva dato l’addio alla maglia azzurra in una conferenza stampa a Trigoria e un cronista milanese de “Il Giornale” (Gianpiero Scevola) gli rivolse questa domanda: “Con l’Italia tu non sei mai risultato determinante, non hai mai inciso sulle vittorie dell’Italia. Cosa pensi che la gente penserà? Ti rimpiangerà oppure – visto che Totti non è mai risultato decisivo in Nazionale – su di te stenderà un velo pietoso?”. Lui rispose per le rime, senza pensarci troppo su: “Io spero che mettano un velo pietoso. Anche perché non sono mai stato decisivo, è inutile pensare a un giocatore non decisivo. O parlare a un giocatore mai decisivo. O fare domande a un giocatore mai decisivo. Così ora non c’è più problema per il Nord. Per voi”.
Nel 2007 vinse la Scarpa d’Oro beffando un bomber conclamato come Ruud Van Nistelrooy, eppure il titolo fu minimizzato. Anche su alcune emittenti radiofoniche romane. Le stesse che ora incensano il Capitano e criticano Spalletti per le presenze che gli concede: “Complimenti a Totti per un premio che dal ‘90 al ‘96 non è stato assegnato a nessuno”. Sono pure lontani i tempi del calcio dato a Balotelli nel 2010, in una finale di Coppa Italia all’Olimpico. Un comportamento non giustificabile, come lo sputo a Poulsen, ma per il quale partì la solita ridda di voci incontrollata e incontrollabile. Arrivò a spendere dichiarazioni persino l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: “Un gesto inconsulto”, osservò il predecessore di Mattarella. Tutto dimenticato, per fortuna. Adesso Totti è trasversalmente “Un mito”. Adesso gli dedicano servizi, prime pagine e reportage. Adesso, che il 27 settembre compirà 40 anni. Doveva essere così da almeno un quindicennio. Capitò pure con Antonio De Curtis, l’attore napoletano conosciuto al secolo come Totò, a cui venne riconosciuta l’immortalità e la genialità dopo la morte. Ma non è mai troppo tardi.