La penna degli Altri 22/02/2016 14:59
Lasciare è difficile, così diventa penoso
LA REPUBBLICA (E. AUDISIO) - Lo sport abbandona i Dorian Gray. Divora la giovinezza. Per questo fa male, per questo è bello. L’orizzonte non può più essere tuo. Magari per poco, per quel filo di vecchiaia che ti scendi sui fianchi. La tua grandezza resta, ha contorni precisi, soprattutto se ti chiami Totti, ma non la puoi più mettere in moto. Puoi barare come Norma Desmond nel Viale del Tramonto o come il cestista Kobe Bryant puoi ammettere: il mio corpo non ce la fa più, ha staccato la spina. Una vecchia Josephine Baker urlò allo spettatore che aveva preso il binocolo: «Non farlo, mantieni l’illusione». Lo sport quell’illusione la spezza.
Francesco Totti a settembre avrà 40 anni. Ha sempre giocato, sin da bambino. In campo, mai fuori. Senza pallone non si è mai immaginato. Forse la sua colpa più grande è stata quella: non provarci nemmeno. La sua forza ora è la sua fragilità: non ha mai voluto altro, se non giocare a calcio nella Roma. Non si è costruito un futuro, ha sempre voluto per sé un eterno presente da numero dieci. La sua debolezza, la sua confusione, l’hanno portato a sfogarsi, a chiedere il rispetto che si deve ad un monumento: non vuole essere messo da parte, vuole stare in mezzo, in campo, dove si fa la storia. Ha ululato il suo dolore, Spalletti è cattivo, non gli parla nemmeno. Quando vedi la nave che parte senza di te, realizzi che non hai più mari, non in quel modo. E se sei stato a lungo il capitano di quel viaggio ti senti un escluso. I muscoli che comandano non sono più i tuoi, e nemmeno il fiato. Non è facile dirsi addio: hanno pianto tutti in quel momento, da Mancini a Maldini. Più comodo usare la rabbia, dare la colpa agli altri: a chi non ti capisce, a chi dubita della tua immensità, a chi non ricompensa la tua dedizione. Ma quando i campioni nella loro umanità sbagliano, dall’altra parte ci deve essere una società all’altezza.
E non un’assenza che lascia bruciare rancori e vendette, che mette a fuoco una città nel gioco perverso del tu con chi stai, che incita divisioni, guerre di potere e da stadio. Totti è stato lasciato solo con la sua crisi di mezza età, Spalletti è stato lasciato solo a difendere il suo lavoro e ha scelto la legittima difesa mandando il monumento a casa.
I segnali di pericolo c’erano e tutti evidenti. Dov’è il lavoro di raddoppio che si fa quando si vuole impedire un passo falso? Nessuno ha estorto a Totti un’intervista clandestina, è stata rilasciata a Trigoria, nel giorno in cui parlava Spalletti. Chi l’ha permessa? Quando il presidente James Pallotta prese la Roma promise che ne avrebbe fatto una società all’americana: valore al brand, stadio moderno, anche nei comportamenti culturali, comunicazione diversa, buon gioco in campo e fuori, presenza attenta. Ora il suo commento privato alle dichiarazioni di Totti è stato: «Vergognoso ».
Ma lui in questo lungo momento di frizioni tra giocatore e allenatore, dov’era? E la società ha forse provato a gestire questa crisi di nervi già abbondantemente oltre l’orlo? Il malumore di Totti, qualche battuta di troppo in allenamento, e anche al giornalista spagnolo (“Che ci fai con me oramai») dopo i quattro minuti giocati con il Real, non era un segreto di stato. Pallotta a dicembre ha promesso a Totti che a fine contratto potrà chiedere il ruolo che vuole, anche la vicepresidenza. Il capitano resta, ma deve dribblare il passato e trasferirsi in ufficio. La risposta emotiva di Totti è stata quella di mettersi a palleggiare a bordocampo con un bambino durante Sassuolo- Roma, come a dire: a me dal pallone non mi schiodate, solo questo m’interessa.
Tra un vecchio ragazzo preso alla sprovvista da un imminente cambio di vita e un club di professioni adulti che dice di voler essere un esempio nel mondo e si volta dall’altra parte quando una ferita sanguina, chi è più colpevole? Lasciare Spalletti e Totti soli in un confronto western, a spararsi addosso, come fuorilegge, con il rischio che la città diventi tutta una curva, è da società che vuole posizionarsi tra le grandi? Hanno smesso di giocare Pelè, Ronaldo, Zidane. Senza mandare a quel paese nessuno. Capita di non farcela più, di essere un faro troppo intermittente, di avere difficoltà nell’uscita. Ma se trovi qualcuno che ti dà il braccio è tutto più facile. Così invece è solo penoso.