La penna degli Altri 18/01/2016 13:51
La Roma da esonero solo pari e fischi. Pallotta: “Non vendo”
LA REPUBBLICA (E. SISTI) - La Roma ricomincia da se stessa. Dopo la più burrascosa settimana degli ultimi anni, con viaggi, esoneri, ingaggi, dopo un carico ingannevole di aspettative provocato dal fatto che s’era ipotizzato che dall’America salvifica stessero arrivando le medicine più all’avanguardia, le pasticche più adatte e definitive, il malato è ancora lì, in quel lettone ottocentesco posizionato al centro della stanza, con i parenti che vanno e vengono bisbigliando fra di loro di immaginari miglioramenti, mentre per strada fra i conoscenti si rincorrono voci allarmanti di un probabile decesso. Così da Boston il presidente Pallotta è costretto a smentire voci di una ventilata vendità della società: «Voci folli».
In campo la Roma va oltre le cure di un day-hospital, il danno è profondo, il rimedio ancora lontano. Da tempo tranquillità, intensità e qualità non abitano più a Trigoria. E così arriva Spalletti ma si vede la peggior Roma di Garcia, discontinua, impaurita, incapace di gestire il risultato, inefficace (con derive drammatiche in Dzeko) sotto porta, ma c’era veramente da aspettarsi altro? Basta il Verona ultimo in classifica con 9 punti, di cui 2 strappatiai giallorossi col termometro in bocca, bastano l’assennata dedizione di Halfredsson, subentrato nel secondo tempo, e la velocità di Wszolek (un incubo per Castan che torna titolare ma gioca così male, è ancora così spaesato dopo i gravi problemi di salute, da dover chiedere scusa via twitter, «devo ancora migliorare», ricevendo l’appoggio di compagni e tifosi) per regalare all’Olimpico vuoto il consueto spettacolo di un gruppo che pare non allenarsi da anni, non si regge in piedi, segna con Nainggolan (prima rete stagionale) per un’invenzione di De Rossi (l’unico vitale) ma nel primo tempo non crea altro, offre soltanto 20’ di eccitazione confusa, apparenti verticalizzazioni e un giro palla appena più dinamico.
Per poi sprecare senza pietà, con feroce masochismo, nel secondo quando il Verona gioca meglio, di più, prende un palo (Rebic), è tonico mentre la Roma è già stanca e schiava del suo catrame, vischiosa di gambe, fragile di testa. E’ una squadra che non sopporta più la minima pressione, soffre l’impatto di qualunque sfida, soffre i propri demoni, basta niente per mandare in crisi un uomo, dall’uomo si passa al reparto, dal reparto si configura un dramma collettivo in cui è l’intera squadra a tracimare. Il circolo è solo vizioso. I pali colpiti (Dzeko e Salah) non fungono da propellente, la gioia di De Rossi dopo il gol non è contagiosa, la sua giocata (controllo di destro al volo e colpo di tacco senza far rimbalzare il pallone) non produce inversioni emotive. Rimane tutto fermo, paralizzato, silenzioso. Gli sguardi di Spalletti sono emblematici, in pochi minuti gli cresce più barba e invecchia di dieci anni. Ma forse se l’aspettava. Il pareggio di Pazzini su rigore è pura logica, nell’illogicità della Roma.