La penna degli Altri 17/12/2015 14:10
La Roma è senz’anima, va avanti il piccolo Spezia. Garcia appeso a un filo
LA REPUBBLICA (M. PINCI) - In un pomeriggio capitolino la Roma è implosa, abbandonandosi a un ingestibile desiderio di autodistruzione, una pulsione di morte, direbbe Freud. La furia autolesionista di un gruppo svuotato nell’anima provoca l’imponderabile trasformando un tranquillo ottavo di coppa Italia in uno psicodramma lungo due ore e mezza. La Roma si accanisce su quel che resta di sé, infilando l’ennesima giornata di dolore. Il funerale della squadra che avrebbe dovuto diventare una regina lo celebra il piccolo Spezia di Di Carlo, che ai rigori si prende i quarti correndo a festeggiare in un Olimpico silente e deserto (7167 paganti) sotto la curva dei quasi 3mila tifosi venuti dalla Liguria. Mentre l’altro pezzetto di stadio contestava Garcia, per la prima volta, dopo il terzo 0-0 consecutivo (prima Bate e Napoli) e i due rigori sciagurati di Pjanic (traversa) e Dzeko (altissimo), gli artefici della vittoria con la Juve che ad agosto aveva illuso, diventati oggi invece costosissime icone della disfatta. «Sosterrò la squadra fino alla morte», dice Garcia, evocando forse quello che vede: un epilogo. Evidente, nei fatti e nei numeri dell’anno 2015, in cui la Roma è quinta con 5 punti meno della Fiorentina. E in quelli di una partita in cui sono serviti 120 minuti e 3 rigori per fare un gol alla terzultima difesa della serie B, che ne aveva presi 5 a Trapani e altrettanti a Cesena.