La penna degli Altri 30/11/2015 16:57
IL PUNTO DEL LUNEDI' - Garlando, Vocalelli, Crosetti, Caputi, De Bellis, Mei, Garanzini, Giubilo, Beha
LAROMA24.IT - Rudi Garcia aveva promesso una Roma battagliera, ma ieri pomeriggio all'Olimpico i (pochi) tifosi presenti hanno dovuto assistere a una nuova sconfitta, questa volta contro l'Atalanta. Ancora inspiegabile l'atteggiamento della squadra, tutto meno che combattente, tanto da meritarsi i fischi a fine partita. Difficile accampare scuse o trovare alibi per una prestazione del genere, in cui il francese è imputato come maggior responsabile del difficile periodo dei giallorossi.
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Ecco i commenti di alcuni degli opinionisti più importanti della stampa, pubblicati sulle colonne dei quotidiani oggi in edicola.
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LA GAZZETTA DELLO SPORT (L. GARLANDO)
Da Messi e O' Ney a polenta e osei cambia poco: la Roma le prende. Sculacciata da catalani e bergamaschi. Leo Messi, Papu Gomez, Maxi Moralez... Non mostrate più argentini di piccola taglia a Garcia o va in analisi. Le sconfitte contro Barcellona e Atalanta sembrano arrivare da mondi diversi, in realtà sono figlie della stessa anima malata. Una settimana fa la Roma si dimenticò di giocare il primo tempo a Bologna perché il campo era troppo inzuppato. Al Camp Nou è scesa in pantofole e non faceva neppure falli per fermare il Barça che segnava un gol dietro l’altro, perché nel pomeriggio il Bayer aveva pareggiato e il risultato contava poco. Sempre un alibi. (...) Troppo spesso la Roma scende in campo con l’entusiasmo di un impiegato il lunedì mattina. Se deve affrontare la Juve o giocarsi il derby, si eccita, incendia le sue poderose potenzialità e vince. Altrimenti, per svegliarsi, ha bisogno di prendere sberloni come a Bologna. Prima di parlare del ruolo di Dzeko e di questioni tattiche, la Roma deve guarire dalla sua vera malattia: l’anima molle, l’anemia motivazionale. Garcia, che neppure dopo l’umiliazione del Camp Nou è riuscito a evocare lo spirito da battaglia promesso, è il primo colpevole, ma non il solo. Come può una squadra che è stata asfaltata a quel modo a Barcellona non sbranare l’erba dal primo minuto per riabilitarsi agli occhi del proprio popolo? Se un allenatore dovrà prendere il posto di Garcia, dovrà uscire dalla scuola di Mourinho e Conte, condottieri di polso che sanno parlare all’anima e gonfiarla; che sanno educare l’etica del sacrificio e della sofferenza. Perché questa Roma, con la qualità che possiede, se avesse le voglie della splendida Atalanta, se riuscisse a imporsi il motto bergamasco «adess, adoss!», sarebbe la candidata numero uno allo scudetto (...)
CORRIERE DELLO SPORT (A. VOCALELLI)
Sono successe tante in questo lunghissimo turno di campionato (...) Già, perché le due squadre romane hanno perso contemporaneamente e meritano un approfondimento particolare. A cominciare dai giallorossi che, dopo l’umiliazione di Barcellona, sono stati battuti dall’Atalanta. Stavolta di fronte non c’era Messi ma Gomez, sulla panchina avversaria non c’era Luis Enrique ma il bravissimo Reja, colpevolmente considerato un difensivista. (...) Fatto sta che la Roma è naufragata anche in campionato. A fine partita Sabatini ha blindato la posizione del tecnico, anche se le voci di corridoio insistono nel far sapere che sarà decisiva la partita col Bate Borisov. Un crocevia, parere strettamente personale, assolutamente sbagliato, a meno di non considerare il calcio e la missione della Roma solo dal punto di vista economico. La partita con l’Atalanta, e la prossima col Torino, sono addirittura più importanti di quella con i bielorussi. Perché il vero grande obiettivo della Roma era e resta lottare per lo scudetto, difficile pensare di poter invece andare sino in fondo in Champions, contro Bayern o Real, Barcellona o Psg.
LA REPUBBLICA (M. CROSETTI)
Nello strano mondo della Roma, stavolta tutto può finire prima ancora di cominciare. Non lo dice la classifica ma il campo. Lo dice una panchina che ormai sembra vuota. Lo hanno detto i sei schiaffi di Barcellona e lo ha detto pure l’Atalanta. Lo dice una proprietà che sta sempre a Boston, nientemeno. Invece Garcia dice che non mollerà, che bisogna restare umili, che oltre le nuvole c’è il blu: ma sembra più quello dei lividi che del cielo.
La caduta giallorossa forse cominciò contro il Bayern, un lutto mai elaborato, o magari contro la Juve a Torino, un anno fa: troppe parole, prima e dopo, anche di Garcia e non poche superflue. Ma quel crollo ha poi preso forma nel mezzo campionato successivo, chiuso al secondo posto solo per assenza di rivali. Erano indizi forti di scollamento che la società ha ignorato. Mancava un centravanti: arrivato. Serviva un altro contropiedista: preso. Cure palliative. Con Salah e Gervinho fuori, con Totti a fine avventura per mille logiche ragioni, la Roma è una squadra smarrita, debolissima in difesa perché incapace di difendere collettivamente. Le resta il miglior attacco della serie A, però è stata violata già 17 volte. Nelle ultime tre partite ha preso 10 gol. In questi casi ci si chiede se i giocatori abbiano già esonerato l’allenatore, a volte succede. Ora Garcia ha due gare per salvare il posto, sabato contro il Toro e poi la Champions contro il Bate Borisov, tutto in quattro giorni. Le alternative sono comunque ipotesi fragili, nessun grande allenatore salta sul treno della Roma a dicembre. Se poi arrivasse qualche segnale più chiaro dall’America, non sarebbe male: anche per i tifosi, molto critici se non assenti. C’è da capirli, un po’ per il gioco della Roma e un po’ per la fatica dell’Olimpico: più facile entrare alla Banca d’Italia.
IL MESSAGGERO (M. CAPUTI)
Com’è triste Roma. Le due squadre della Capitale, dopo l’ennesima vigilia di buoni propositi, sono uscite malinconicamente sconfitte, confermando il loro grave stato di crisi. I motivi e il peso del preoccupante momento sono diversi, non la sostanza. I primi a finire sul banco degli imputati, pur non essendo gli unici responsabili, sono i due tecnici: Garcia e Pioli. Il vento che soffia alle loro spalle è di bufera: da una parte c’è l’assoluta assenza di gioco e organizzazione, dall’altra ci sono sette sconfitte in quattordici gare, con addirittura un punto solo racimolato nelle ultime cinque. A rendere poco sostenibile la situazione è soprattutto l’incapacità di invertire la rotta, con i giocatori che non sembrano rispondere alle sollecitazioni. I guerrieri invocati da Garcia in conferenza stampa non sono mai entrati in campo, la squadra era completamente vuota di spirito e di idee. Non bastano gli slogan e i cambi in difesa di alcuni elementi per rimettere in sesto la squadra: quando i singoli non inventano la giocata o gli imprevedibili Salah e Gervinho sono assenti, tutti i limiti del tecnico francese vengono a galla. La Roma non ha un gioco e per questo non sarà mai ”squadra”, solo una formazione di tante belle individualità esposta ai cali di tensione e alle brutte figure. (...). Il rischio per la Roma di perdere il treno scudetto, se non addirittura la zona Champions, vista la situazione, è concreto. (...) Alle due società spetta il compito di agire e scegliere le soluzioni migliori.
IL GIORNALE (A. DE BELLIS)
Al solito il più lucido è stato Daniele De Rossi: «Sarebbe da infami dare tutte le colpe all'allenatore». La Roma che si scioglie è il caso del momento. Perché, con la Juventus crollata all'inizio del campionato, sembrava che questo non potesse che essere l'anno della Roma, unica a tenerne il passo fino a un certo punto del campionato nei due anni precedenti e quest'anno agevolata sulla carta dai primi risultati del campionato. Invece è il contrario, è come se, in una stagione in cui dovrebbe stare davanti a tutti, non se ne sentisse capace. Sconfitta in casa 0-2 dall'Atalanta, dopo l'imbarazzante 6-1 preso a Barcellona in Champions League. L'allenatore, dicono tutti. Forse, però, lo dicono in troppi. Sicuro che sia soltanto lui? E inaccettabile, come ha fatto Garcia, presentarsi in casa della squadra più forte del mondo per farsi prendere a pallonate. Ma gli altri? A un allenatore puoi imputare errori tattici e di personalità, non l'errore individuale di un difensore che consegna il pallone all'avversario. Cacciare gli allenatori è facile: basta avere i soldi per continuare a pagarli pur scegliendo di sostituirli. E poi? Per dirne una: la Sampdoria ha licenziato Zenga e ha subito due sconfitte consecutive. L'effetto salvifico dell'esonero è un alibi più o meno costante: serve soltanto a non far passare presidenti per inetti. Come se in caso di periodo negativo si debba per forza cambiare un uomo. Uno solo. Per tutti. 0, più probabilmente, per se stessi.
IL MESSAGGERO (P. MEI)
La Roma va a rotoli: la pallanuoto di Bologna e la valanga blaugrana del Camp Nou avevano qualche piccola scusa, ma ora c'era questa Atalanta che il Barcellona non è e difatti ha segnato solo due volte; la Roma è "non pervenuta", come le temperature d'una volta al bollettino mete-reologico via radio. La temperatura almeno c'era: questa Roma non c'è. Pub darsi che non ci sia stata per questi otto giorni di fine novembre, e che invece a dicembre chissà... Ma di buone intenzioni, le intenzioni della predica del «non ci resta che lavorare», stucchevole e di maniera, è pavimentata la via dell'inferno, che sarebbe uscire da ogni Champions, quella d'oggi e quella di domani, con un pauroso contraccolpo finanziario che la crisi greca sembrerebbe il giardino di Bengodi. E quei pochi (ahinoi) tifosi da stadio pensano invece che «non ci resta che piangere». Lasciano le gradinate con buon anticipo, e quelli che restano fischiano come se fossero i tanti d'una volta, almeno a giudicare dai decibel. Un po' s'arrabbiano, molto si vergognano, giacché la parola più ricorrente nel parlare di questa Roma, nel giudicarla pure, è «vergogna». E si preparano all'ennesimo assalto di sfottb via web o anche di persona, pure se in città sarebbe bene che ognuno pensasse ai propri panni sporchi, se Sparta piange Atene non ride. Cosa è successo, allora? La risposta è complicata e c'è un pezzetto di responsabilità da ogni parte delle tre che solitamente compongono una società e una squadra di calcio: la società stessa, l'allenatore e il suo staff, i giocatori. Alla prima si rimprovera, in generale, un mercato che l'ha vista spendere ma non sempre mirando la spesa, anzi quasi mai, perché vedere Dzeko costretto sulle fasce laterali è uno spettacolo inatteso: se volevano uno cosi, serviva Dzeko, che sembra rassegnato? Qualche difensore non sarebbe stato più opportuno? Ai numeri puoi far dire quel che vuoi: la Roma segna, ma ieri non è successo neanche questo, ma soprattutto fa segnare. Garcia, che aveva riportato la chiesa al centro del villaggio, e che nell'anno senza coppe aveva conquistato il campo, adesso sembra non riuscire più a dare un gioco alla squadra, un gioco che non sia «palla a Salah o Gervinho, ci pensino loro»; perché, se poi mancano, chi ci pensa? Un forte movimento d'opinione calcistica chiede l'esonero: forse anche tra i giocatori c'è chi se lo augura. Il problema è il contratto da onorare almeno fino al 2018 e il nome da proporre in panchina: la Roma del brand internazionale non pub permettersi una scelta minore. Perché si cerca di manifestare fiducia, una specie di «Garcia, stai sereno». Ma Totti? Dov'è Totti? Sembra sparito come la Roma: sarà un caso? Ma non era lui, sempre e per tanti, la colpa di tutto?
LA STAMPA (G. GARANZINI)
(...) In uno strano pomeriggio in cui il genovano Pavoletti e il veronese Rafael avevano colpevolmente alzato il gomito, e la vittoria del Frosinone dilatato i confini della zona-retrocessione, la Roma aveva di fatto ritirato l'iscrizione alla corsa scudetto. Una squadra degna di competere al vertice può anche imbambolarsi, per una sera, di fronte alla grande bellezza del Barcellona. Ma non può farsi prima irretire e poi dominare sul proprio campo da un'Atalanta non più che normale. Poca, pochissima gamba, e soprattutto poche idee ma confuse in campo. Per tacere di una panchina che ha suggerito o come minimo autorizzato che una torre come Dzeko si muovesse sulle ali. Accentrando a farne le veci dell'impresentabile Iturbe
IL TEMPO (G. GIUBILO)
Roma Capitale sepolta dalle macerie, almeno quelle del calcio. A salvare il prestigio deve pensarci il cugino povero, il Frosinone, che battendo il Verona si svincola dalla zona retrocessione. La i vessilli del calcio capitolino chiudono la domenica a quota zero. Tra le due, soltanto la Lazio ha diritto a qualche attenuante (...) mentre la Roma se lo merita tutto lo sfogo rabbioso del proprio tifo. Dimenticati le feste e gli applausi del derby, poi era arrivata la pallanuoto di Bologna, ma soprattutto la vergogna dei sei gol incassato al Camp Nou che hanno lasciato il segno, proprio come era accaduto dopo la devastazione dell'Olimpico da parte del Bayern. Non basta un caffè nero a colazione per smaltire la sbornia catalana. I guerrieri annunciati da Garcia si rivelano innocui soldatini di piombo. Contro una Roma allo sbando, troppo facile per l'Atalanta divestare l'Olimpico romanista. Gomez e Maxi Moralez sono frecce in campo aperto, la difesa arriva a dieco gol presi nelle ultime tre partite. E la manovra offensiva è ancora più labile, il solo assist autentico lo firma Digne: ma è per il "Papu" che fulmina De Sanctis bravo a negare agli ospiti un raddoppio immediato. Il finale è avvincente, rigore con rosso per Maicon, fino alla contestazione sonora di un tifo imbestialito.
La classifica non è ancora deficitaria, un quarto posto e distacchi colmabili, ma la condzione fisica e mentale della squadra non spalanca orizzonti rosei. Le sorti di Garcia restano legate alla sfida con il Bate Borisov, fallire gli ottavi di Champions sarebbe imperdonabile.
IL FATTO QUOTIDIANO (O. BEHA)
A voler utilizzare una formula metaforica cara al Garcia dei tempi d’oro (“Abbiamo rimesso la chiesa al centro del villaggio”), basta notare che la chiesa ieri era chiusa, anzi sprangata, i fedeli essendo lontani dall’Olimpico, così come la porta dell’Atalanta. Una Roma letteralmente in folle, mai in grado di mettere né le marce basse né quelle alte, è stata impeccabilmente punita da una squadra leggermente lontana dal blasone e dalla qualità stellare del Barcellona. Poiché perseverare è diabolico, ci sarebbe da capire come una squadra forte, solo tre mesi fa indicata come una o addirittura dopo la debacle della Juve, “la” favorita per il titolo, si sia ridotta così: ad affidare a una sola partita da dentro/fuori con il Bate Barisov il passaggio del turno in Europa e a manifestare un disorientamento periodico in campionato, disamorando troppo spesso l’ambiente. Si dice: pagano sia psicologicamente che atleticamente il doppio impegno, e la controprova è che quando c’era solo il campionato, nel primo anno di Garcia, tutto filava a meraviglia. L’anno scorso è stato il Bayern, adesso è toccato al Barcellona fare strame dei romanisti. Ma questa non è una spiegazione, è piuttosto la ratifica di un percorso che nelle ultime due stagioni risulta incerto come alla vigilia non avresti detto. Sembra quasi che la Roma club, la Roma squadra, la Roma ambiente, la Roma mediatica delle radio-tv e il popolo sfegatato della Lupa non reggano la pressione e la responsabilità: si arriva fino a un certo punto, e poi si svanisce, come a dire “abbiamo scherzato”. Quasi a voler dare perversamente ragione a chi pensa che “a Roma non si vincerà mai nulla”(assioma sbagliato e comunque smentito) un po’ sulla falsariga di Napoli, che invece al momento e stasera alla verifica con l’Inter sembra in campo padrone di sé in Italia e in Coppa. Forse non c’è abbastanza polso, forse è troppo poco radicato il gruppo con i soli De Rossi e Florenzi a masticare in romanesco in assenza del capitano dei capitani invecchiato tra panchine e infortuni. Di sicuro è qualcosa che nasce dentro la circoscrizione di Garcia e della dirigenza, che si gonfia fino a un certo punto e poi scoppia come una bolla. È solo un modestissimo parere personale, ma di fronte a questo inabissamento periodico consiglierei di rivedere le bucce in generale, ben oltre un errore di Digne o un rammollimento generale della squadra: mentre Garcia ripara il motore e rimotiva il conducente, giacché come ha detto in maniera assai dimessa nei commenti del post partita è solo il campo che può rimettere i cocci a posto, forse domandarsi quale vuole essere l’identità della Roma società, quali i suoi scopi in patria e all’estero, quali le sue caratteristiche riconoscibili.
Irrobustire un progetto, oltre allo stadio nuovo, non potrebbe che giovare anche alla personalità complessiva dell’ambiente. (...)