La penna degli Altri 27/10/2015 13:43
Palla agli altri e gol a noi, la svolta di Garcia in testa col contropiede
LA REPUBBLICA (M. PINCI/E. SISTI) - Tutta questione di testa. La testa della classifica dopo 700 giorni, la testa del gruppo ritrovata e rimasta “sul pezzo” sino al fischio finale, anzi no, fin sotto la doccia, senza lasciarsi andare a prematuri cedimenti strutturali. Testa come mai, i ragazzi di Garcia hanno imparato a difendersi dal loro peggior nemico, la paura, che ti cambia la testa, ti prosciuga le energie e ti fa scappare i tre punti quando li avevi già in tasca. La Roma capolista, la squadra dei sorrisi perduti, è un magazzino stipato di preziose antichità, Conte, Mourinho, contropiede, catenaccio, robustezza del gruppo, qualità dei singoli, “modulazioni di modulo”. La Roma di Firenze è il classico effetto che si ottiene quando i pregi finalmente pagano e i difetti finalmente non tolgono. L’attacco giallorosso è invidiabile (con 22 reti, il doppio della Juventus, è il migliore del campionato), la difesa concede troppo se non è protetta e se la squadra si allunga. Controllare il gioco e i suoi ritmi può destabilizzare anziché caricare.
Come rimediare? Ora la Roma l’ha capito. Ha battuto la Fiorentina contentandosi di toccare appena il 27% dei palloni, trovando nei 6 minuti passati nella metà campo avversaria due gol e sfiorando il terzo. Terribilmente concreta, anche a costo di non sembrare (più) bellissima. Al Franchi è stata la Fiorentina a praticare quello sterile possesso palla (73%) in cui la Roma s’è aggrovigliata per mesi, perdendo fiducia, partite e identità. Proprio Sousa ha dimostrato che certe ragnatele strangolano, se non si trova il buco o se il ragno non sei tu. Mai la Fiorentina aveva balbettato tanto, mostrando i limiti di Vecino e Badelj. E il merito è stato soltanto della Roma, di questa smontatrice di sogni che Garcia ha desunto, dragato, dalle tante facce esibite a Leverkusen e Borisov. La figlia del calcio aggressivo un tempo guidata da Strootman ora inizia a ruotare attorno a Dzeko, che è qualcosa di più di un centravanti, è un uomo capace di trasformare il “falso nueve” in un “factotum nueve”, di pulire palloni, lanciare contropiedi, salire, scendere, più che un uomo un ascensore tattico. Questa squadra è l’esito di recenti, profonde delusioni e d’inspiegabili depressioni da campo. Ma una volta passate, son dolori. Come due anni fa la Roma torna a dare il meglio di sé aspettando che le altre facciano la fine delle mosche sul parabrezza, non arretra più negli ultimi venti metri, spaventata a morte da Mehmedi o Mladenovic. Si è scoperta spavalda, coraggiosa, disposta a sistemarsi a sei, con Salah e Gervinho ultimi baluardi in larghezza.
A volte la grandezza è solo una speciale abilità nello smontare la grandezza altrui, o toccare i nervi scoperti. I viola si stranirono quando il Napoli rientrò in ritardo dagli spogliatoi e presero gol quasi subito? Al Franchi, imitando Sarri, Garcia ha chiesto ai suoi di tornar su coi piedi di piombo: 7 minuti di ritardo per 5 mila euro di multa. Soldi ben spesi. Così come la scelta di non diffondere i convocati per spiazzare Sousa che avrebbe fatto altrettanto. Trucchi, furbizie, strategie. Se trova continuità, la Roma di Pjanic, Dzeko e Florenzi, corta, cinica, nata per attaccare ma disposta a difendersi e a farsi “brutta”, è pronta anche per le difese schierate. L’Udinese già lo sa.