La penna degli Altri 28/07/2015 00:46
Vado pazzo per Nainggolan e per il suo battersi selvaggio a tweet nudi
DAGOSPIA (G. DOTTO) - Nel mondo vacuo, conformistico e gregario per definizione, quello dei “milionari in mutande”, Radja Nainggolan è la meravigliosa eccezione che Nassim Nicholas Taleb, l’epistemologo libanese, chiamerebbe il “cigno nero”. La bestia rara. L’anomalia. L’ “incidente” da valorizzare.
Vado pazzo per Radja (giuro sul mio onore, lo scriverei anche se calciasse da juventino o laziale). Dove sta l’anomalia? Il suo battersi selvaggio a tweet nudi, senza regole e mediazioni, come un gattaccio di strada contro i tifosi avversi, lanciandosi con la mazzafionda delle centoquaranta battute pietre di ogni tipo, schianta di colpo l’ortodossia che vuole il divo calciatore protetto e autografante nel suo irraggiungibile piedistallo, sopra la mischia dei tifosi, cui è concessa solo l’ovazione o la bestemmia da stadio.
L’ultima uscita social del cigno nero Radja (“Meglio uno scudetto da romanista che dieci da juventino”) ha immancabilmente scatenato un bordello di repliche feroci. Il bello, ma diciamo anche il sublime, di Radja è che risponde una ad una, senza eufemismi, non negandosi nulla e nemmeno lo scambio più triviale. Autografi sanguinari. Uno splendido corpo a corpo del tutto simile a quelli che ingaggia in campo. Qualche tempo fa, dopo la batosta ed eliminazione annessa con il Manchester City, uno lo bazzica via tweet: “Non scrivi un cazzo oggi?”. E lui, senza fare una piega: “Non lo scrivo ma se vuoi te lo metto”.
Ce lo vedete Del Piero, il guru della stilosità applicata al calciatore, quello che non sbaglia un tweet, un nodo e una virgola, piuttosto si fa impalare, replicare così al suo detrattore? O quel Ranocchia, trasformato in tale repellente anfibio anche dalle valanghe di odiosi insulti che gli arrivano dai suoi stessi tifosi e lui, per testimoniare a quegli animali che una volta è stato un principe e che, anzi, lo è tuttora, risponde con soavi palate di ironia?
Quando non sono le donne dei calciatori a smollare imbarazzanti messaggi da esibizionismo represso (la fidanzata di Cerci: “Addio Serie A, andiamo nel calcio che conta”, prima di partire per la Spagna e tornare qualche mese dopo con l’eventuale coda tra le gambe). Per non parlare poi dei miliardi d’inutili ovvietà con cui i calciatori diluviano il mondo twitter, pagando anche bigliettoni a presunti consulenti d’immagine. Sui calciatori al tempo dei social, sarà il caso di tornarci su.
Ma, tornando a Radja. Un tipaccio come lui dovrebbe essere amato dai suoi tifosi e rispettato dai suoi nemici, almeno per una ragione. Per come rievoca nell’ammorbante circo dei Raiola e della maglia come fazzoletto da naso usa e getta quanto meno l’idea dell’appartenenza. La maglia come seconda pelle. Era stato così a Cagliari. La squadra di Gigi Riva. Era già, Radja, un giocatore di primo livello, un meticcio a più strati di sangue, ma pativa molto l’idea di lasciare l’isola. Una squadra modesta, ma fa niente, aveva imparato a sentirla come le sue radici. Cigno nero e uomo vero, inclassificabile, indomabile, che vive la vita come spreco e indisciplina, ma quando sta dentro un gruppo e una missione collettiva la vive come valore e disciplina assoluta.