La penna degli Altri 27/05/2015 14:49
Il pugno duro del prefetto Gabrielli: "All'Olimpico disputare a porte chiuse le partite ad alto rischio"
LA REPUBBLICA (M. FAVALE) - «Ha ancora senso far svolgere manifestazioni sportive impiegando un numero impressionante di forze dell'ordine? O non sarebbe il caso di pe.nsare, più drasticamente, che certe partite in queste condizioni non si debbano svolgere in maniera ordinaria?». La premessa di Franco Gabrielli, prefetto di Roma dal 2 aprile, sono due domande «che non hanno nulla di retorico». Il giorno dopo il derby del lunedì, sporcato da due accoltellamenti e da tafferugli attorno all'Olimpico, l'uomo che per quasi 5 anni ha guidato la Protezione civile è amareggiato. «Quando una partita di calcio si connota per scontri, feriti, cariche alle forze di polizia, sequestri di roncole, caschi e bastoni, stiamo ancora parlando della cronaca di un evento sportivo o di una guerriglia urbana?».
Quello dell'altro ieri è stato il suo primo derby da prefetto. Qual è la sua valutazione del day after?
«Per certi aspetti, è andata come pensavamo dovesse andare: al di là di due gravissimi episodi, vorrei ricordare a chi ha poca memoria, che il tema dei coltelli, delle "lame", per dirla alla romana, ha attraversato la storia del tifo capitolino. Quando stavo alla Digos, 11 anni fa, c'era anche un gruppo che si chiamava Bisi: "Basta infami, solo lame"».
E puntualmente sono ricomparse fuori dallo stadio. Pochi controlli?
«Sono episodi avvenuti a qualche chilometro dallo stadio, in un'area che non poteva essere soggetta a militarizzazione».
A proposito di militarizzazione: l'altro ieri avete schierato 1700 uomini ma questo non è servito a far filare tutto liscio.
«Il dispositivo messo in campo è stato idoneo a evitare che vi fossero compromissioni molto più significative. La cosa più scandalosa, però, è proprio il numero di agenti impiegati. E allora bisognerebbe dire che quando si ritengono certe partite non più gestibili con un decente numero di personale non si fanno giocare in maniera pubblica».
E chi decide se far giocare un derby a porte chiuse?
«Lo decideremo insieme ma credo sia comunque necessaria una riflessione a riguardo. Anche perché il contribuente italiano, che di calcio si interessa poco o comunque non per questo tipo di manifestazioni, credo che viva in maniera giustamente risentita tutto questo
dispendio di denaro. E in un Paese in cui il corretto utilizzo delle risorse è un tema discriminante, questo ragionamento bisogna farlo per rispetto ai contribuenti e alle forze di polizia, carabinieri e guardia di finanza costrette spesso in questi contesti a ricevere mazzate».
Che ne pensa dell'ipotesi di giocare il derby solo la domenica mattina alle 12?
«L'unica cosa rimessa alle valutazione di prefettura e forze di polizia, e cioè non avere il deflusso dallo stadio in condizione di luce non favorevole, si è dimostrata corretta. A dispetto di chi ha parlato di resa dello Stato. Per far svolgere la partita di lunedì, quella era la condizione imprescindibile e ringrazio le forze di polizia che hanno fatto sì che la situazione non degenerasse».
All'esterno dello stadio, però, c'è stato qualche problema.
«E li abbiamo effettuato efficaci azioni di contrasto, usando idranti ed evitando che le tifoserie entrassero in contatto tra di loro. E la volontà di scontrarsi era sistematica e chiarissima».
Ieri è stata segnalata la presenza di tifoserie violente arrivate da altre parti d'Europa. Ne eravate a conoscenza prima dell'inizio della gara?
«Certo, ma fino a prova contraria la libera circolazione è ancora consentita. Non possiamo certo fare arresti preventivi solo perché uno appartiene a tifoserie "effervescenti". Il tema è che, oggi come oggi, ci sono situazioni, piazze e contesti nei quali svolgere manifestazioni sportive in termini ordinari è diventato complicato. La scelta è semplice: o militarizzi il territorio o non consenti più che si svolgano così».
Lei quale delle due opzioni preferisce?
«Propendo per l'ipotesi che tuteli maggiormente il contribuente».
Tornando ai tafferugli, possibile che non si possa organizzare diversamente afflusso e deflusso così da evitare scontri, che puntualmente si verificano nella zona di Ponte Milvio?
«Dire che l'Olimpico si trova in una posizione infelice è dire poco: un imbuto con tutta una serie di implicazioni su arterie stradali la cui ricaduta in termini di fluidità del traffico è nota a tutti È il luogo che mal si presta, che non è idoneo, non l'organizzazione dei servizi».
Nel 2004, quando il derby fu interrotto dai tifosi in una drammatica giornata, lei era alla Digos della capitale: cos'è cambiato da allora?
«Nell'ambito delle tifoserie non c'è stato un cambio di atteggiamento e il tempo trascorso, più che attenuare certi comportamenti, li ha accentuati. Nonostante gli arresti, i daspo, le strutture costruite attorno all'Olimpico, l'aumento di agenti che cresce di derby in derby, gli esiti di queste partite sono sempre simili. Forse, allora, il tema non è tanto la terapia, ma la malattia».