La penna degli Altri 04/04/2015 09:57
Roma-Napoli da spettacolo. In scena De Rossi e Higuain
GASPORT (M. CECCHINI) - Mettetele a specchio. Da un lato c’è l’odore acre dell’elettricità che pare irradiarsi sul set, dall’altro quello un po’ dolciastro incagliato nel legno delle tavole del palcoscenico. Poi arriva la parola incerta ma ripetuta fino alla perfezione, opposta a quella unica che prende corpo nel silenzio, ingigantita dall’enfasi e sempre in bilico sull’errore. Infine, al termine temporaneo di una storia quotidiana, ci sono loro due – Daniele De Rossi e Gonzalo Higuain – che raccontano al loro modo la sfida tra Roma e Napoli, capitali di popoli e di spettacolo. Roma è città di cinema, di finzione artigiana e resa estetica planetaria; Napoli è citta di teatro paludato e popolare, di talenti puri che sanno rendere superflua la costruzione scenica intorno. Certo, le contaminazioni fra le parti sono state infinite e prodigiose, ma nell’immaginario collettivo il duello tra la «Hollywood sul Tevere» e la patria di Raffaele Viviani, Eduardo Scarpetta e la famiglia De Filippo, graffia la fantasia più delle attuali epopee di giallorossi e biancazzurri.
GLADIATORE DE ROSSI Ma oggi all’Olimpico e tempo di «matinée» affollata, con la Roma che si affida alla guida di De Rossi capitano del presente e goleador ritrovato nell’ultimo turno prima della sosta. Daniele è il gladiatore rimasto. Più vero del Russell Crowe cinematografico – peraltro di dichiarate simpatie laziali – non ha bisogno di nessun «metodo Stanislavskij» per immedesimarsi nel ruolo di condottiero del popolo giallorosso. Allo scattare del ciak, la vena del collo si gonfia come cuore comanda. Nella sua carriera è stata spesso buona la prima, a volte meno l’ultima, ma da uomo di spettacolo anche nella vita quotidiana pare obbedire alle disciplina del set. D’altronde, quando si ha una compagna attrice – Sarah Felberbaum – nessuna sorpresa che si finisca per assumere ruoli e regole di un certo mondo molto romano. Non è un caso in fondo che, a 80 anni dall’istituzione di Cinecittà (29 gennaio 1935), la squadra giallorossa si ritrovi nella vena ironica e cinica della fabbrica dei sogni. La cartapesta può diventare trono e ricchezza, così come «Ben Hur» e «Quo Vadis» avevano il potere di ricreare l’Impero dietro a cineprese che nascondevano maestranze col cestino pieno di cibo e la battuta pronta. A pensarci bene,un po’ di cartapesta si sono dimostrate anche le ambizioni giallorosse di inizio stagione, ma il tesoro della Champions che si nasconde in fondo all’arcobaleno della stagione – quasi 50 milioni di euro – rappresenta l’allestimento per il set del prossimo e «sicuro» capolavoro da oscar, l’investimento per il sogno che verrà. Materia d’altronde in cui anche De Laurentiis, produttore e presidente, è maestro. Nello sport d’altra parte, come nella rappresentazione, il confine tra realtà e fantasia è sottile come una recitazione sottotraccia, ma il fascino di Roma è così grande che la finzione ha fatto sempre in fretta a trasformarsi in evento vivo, perché – ammettiamolo – alla fine Liz Taylor era diventata davvero Cleopatra e Richard Burton un Marco Antonio fin troppo focoso. Tutti recitano, ovvio, ma alcuni (i migliori) fino ad un certo punto.
MATTATORE HIGUAIN Lo fa anche Higuain, che nello stadio sa trasformarsi in primattore. Fuori dal palcoscenico verde lo descrivono gentile e schivo, ma si sa che tanti grandi è davanti al pubblico che cambiano pelle. Basti pensare al principe Antonio De Curtis, che sotto qualsiasi tipo di riflettore sapeva trasformare la sua distaccata malinconia nella possenza di Totò. E così il Pepita in campo grida, ordina, arringa la folla, trasformando in rappresentazione ininterrotta il suo viaggio di cannoniere implacabile che la Roma ha sofferto anche all’andata. Con lui al centro dell’attacco, la storia del Napoli sembra essere l’opposto di quella astuta e guardinga di Pulcinella. Higuain nel calcio è vistoso come lo Sciosciammocca di Scarpetta e tetragono come la Filomena Marturano di Eduardo De Filippo. L’impressione, però, è che la compagnia destinata a dargli la battuta non sempre sia stata all’altezza del primattore e così, a volte, la festa attesa si è trasformata in sceneggiata resa dramma, arte che ai piedi del Vesuvio trova maestri da sempre. Ma oggi non c’è spazio per improvvisare e così De Rossi e i suoi lupi attendono il copione di Benitez col rispetto del caso, sperando che a prevalere sia il ciak perfetto del cinema alla «claque» entusiasta del teatro. Roma-Napoli, in fondo, è anche tutto questo, lasciando in dote comune due titoli che nella formulazione rappresentano un punto d’approdo del desiderio e un monito per l’avvenire: «La dolce vita» e «Gli esami non finiscono mai». E allora silenzio si gira e buio in sala: la Grande Rincorsa alla Champions può andare in scena