La penna degli Altri 06/03/2015 08:20
Roma e Garcia sposi per forza
IL MESSAGGERO (U. TRANI) - «Garcia non si muove, decido io». Pallotta, dopo il pari nello scontro diretto con la Juve, ha voluto fortificare la leadership del suo tecnico. Probabilmente gli sono bastati quattro-cinque giorni passati nella capitale per fiutare la l’aria. Frizzantina e, per certi versi, strana. Anche a Trigoria. Il francese, mai sceso sotto il secondo posto, ha scoperto come sia diventato difficile difendere il consenso raccolto dopo la prima e straordinaria stagione sulla panchina della Roma. Mugugni e sospiri, dentro le mura giallorosse. Più che fuori. Critiche, non sempre trasparenti, e dubbi, pure legittimi, sulla gestione del secondo anno. Il presidente giallorosso ha voluto inviare il messaggio ai tesserati del suo club. Per mettere le cose in chiaro. Dall’inizio ha tenuto a battesimo Rudi: è il suo Ferguson.
OLTRE I RISULTATI - La gente, nonostante i 7 pareggi su 8 gare di campionato in meno di 2 mesi, si fida ancora di Garcia. Non ne fa una questione di gioco, ma di giocatori. Anche se poi, le sue scelte (in campo i preferiti) e le prestazioni (fiacche e scialbe) della squadra, finiscono quotidianamente nel dibattito cittadino. «Il suo problema sono stati gli infortuni» la difesa di Pallotta. Pure su quelli ci sarebbe da discutere, ma la priorità va ad altro. Ai rapporti interni. Con il management italiano e anche con i calciatori. La sintonia è quanto meno disturbata. Alti (soprattutto a parole) e bassi (mezze allusioni più che pettegolezzi).
SOLO IPOTESI Il matrimonio tra la Roma e il suo tecnico non è in bilico. Resiste, però, perché non conviene a nessuno farlo saltare. La scadenza del contratto è lontana (30 giugno 2018), ma non è quella a incidere. L’allenatore salutò il Lille perche chiamato da un club più prestigioso. E ora non tornerebbe mai in Francia per una società meno importante di quella giallorossa. L’ambizione è la sua priorità. Lascerebbe Trigoria solo per il Psg. Che, per ora, guarda altrove: Wenger o Simeone. Se Garcia, un giorno, dovesse virare verso un’altra nazione, si sposterebbe in Spagna. Lì, però, le panchine delle big sono occupate. Certo, se Simeone lasciasse Madrid, l’Altetico andrebbe bene (stesso discorso con Wenger e quindi l’Arsenal in Premier). Se, se, se... Non sono nemmeno voci. La Roma, dal canto suo, non si sa perchè dovrebbe cambiare ancora. L’unico nome forte accostato alla Roma è quello di Conte che sarà azzurro fino al 2016. Dunque, inutile porsi il problema. Almeno adesso.
VITE PARALLELE L’interlocutore unico dell’allenatore è Sabatini. In pubblico i due si scambiano effusioni. Ma la loro visione del calcio, l’avranno capito tutti, non ha solo punti in comune. Basta pensare ai giovani. Il ds ne spara a raffica dentro la rosa. Garcia, invece, gradisce poco il ruolo di babysitter. L’esempio è Jedvaj, classe ’95: a Leverkusen recita da titolare dopo la stagione da comparsa in giallorosso. il francese, volendo vincere subito, preferisce i giocatori esperti: fanno la differenza nello spogliatoio prima che in campo. Loro i trascinatori dei ragazzi. Che accetta. Ma pochi e svezzati. Pronti. Per la verità non ne ha avuti. Anche Iturbe, accolto con fiducia, soffre per imporsi. Dodò è stato ceduto, Uçan non si è mai visto, Paredes e Sanabria hanno avuto spazio per l’emergenza. Il 21 e il 22 febbraio (gara esterna contro il Verona), un paio di stoccate che fotografano bene la situazione: «Sapevo che avevamo due giocatori in Coppa d’Africa, non mi aspettavo che anche un rinforzo sarebbe stato lì» sottolineò Garcia con riferimento a Doumbia, il sostituto di Destro preso fuori tempo massimo. Dopo il pari al Bentegodi, l’uno-due di Sabatini: «Lasciamo stare la sfortuna; se parliamo di scudetto, prendiamo in giro la gente». Il prossimo mercato sarà fondamentale per cementare (o frantumare) il rapporto tra i due.
MUSI LUNGHI Il gruppo è da rifondare. Tanto è unito solo quando si vince. Se i risultati mancano, ecco che i giocatori sopportano male le esclusioni. Succede ovunque e, quindi, anche qui. Si torna ai senatori e ai giovani. Divisi tra figli e figliastri. Proprio come raccontarono alcuni calciatori del Lille. Non sempre in campo sono andati i migliori. Lì e anche qui.