La penna degli Altri 13/02/2015 09:12

Premier, le stelle dell'Euro

jose-mourinho

IL MESSAGGERO (B. SACCA') - Sempre bravissimi a correre dietro al treno e mai capaci di «essere» il treno, noi italiani scrutiamo i cieli calcistici d’Europa nella speranza che un fortunato giorno piovamagicamente la ricetta esatta per salvare il nostro pallone. Illusi. Abbiamo allungato l’occhio prima alla Spagna e poi alla Germania, ma evidentemente ci siamo subito spaventati davanti al crescere di una montagna di lavoro e di cambiamenti. Ora cimisuriamo con l’Inghilterra. Già, perché proprio martedì scorso la Premier League ha chiuso un accordo con le emittenti Sky e Bt per i diritti televisivi del triennio compreso fra il 2016 e il 2019. Le cifre sfiorano l’impossibile, è bene avvisare: 6,921 miliardi (miliardi, sì) di euro versati per la trasmissione di 504 partite totali, vale a dire 168 per ciascuna stagione. Traducendo e suddividendo, ogni incontro è costato 13,73milioni di euro, ogni minuto 152.579 euro. E sorvoleremo sul prezzo dei secondi.

DA MOU A ROONEY Acclarato che siano numeri del tutto deliranti, perché in nessun universo un minuto di calcio potrà costare 150 mila euro, sorge spontanea la domanda: come fanno? O, meglio, noi italiani potremmo anche soltanto lontanamente sfiorare un Eldorado del genere? Chissà. Intanto la serie A incasserà circa tre miliardi di euro nel periodo incluso tra il 2015 e il 2018. Meno della metà rispetto agli inglesi. Il nodo però non è legato ai soldi: o non soltanto ai soldi. Piuttosto, è una faccenda culturale. E questo rende il calcio inglese imparagonabile alle altre realtà europee. Lassù, del resto, il pallone è intriso nelle maglie della società, dell’educazione, del modo di stare al mondo. Da Mourinho a Rooney, da Diego Costa a Drogba e Agüero, l’Inghilterra attira i campioni e i fuoriclasse, vola e sfreccia lungo i sentieri delle coppe europee, sospinta nelle vele da un vento carico di eleganza, di cura e, in definitiva, di tradizione. Certo, la sterlina ancora può vantare un vantaggio notevole nei confronti dell’euro, ma non bisogna dimenticare che i club britannici hanno l’abitudine di investire i guadagni nel miglioramento complessivo del sistema. Non puntano di sicuro ogni centesimo disponibile sull’acquisto di una stella. Hanno imparato ad espandere i propri marchi fin negli arcipelaghi più remoti, a navigare negli orizzonti più ampi, a non impelagarsi nelle pieghe dei sorteggi integrali degli arbitri. È una questione di stile, oltre che di preparazione e di bravura dei dirigenti al vertice. Senza esagerare nelle celebrazioni, gli inglesi sanno bene che il calcio è una macchina da soldi: e cometale lo trattano e lo rispettano. Forse, però, non hanno mai dimenticato che resta soprattutto un divertimento.