La penna degli Altri 06/02/2015 09:28
Conte allontana l’addio: “Resto, ma devo poter allenare. Non faccio il selezionatore”
LA REPUBBLICA (E. CURRO', F. S. INTORCIA) - Tre ore nella redazione di Repubblica a parlare di Nazionale e di Europeo, di calcio italiano in crisi e di rapporti con i club, di Juventus e di riforme. Il presidente della Figc Tavecchio e il ct Conte non si sono sottratti a nessun argomento.
Conte, nella settimana dell’elezione del Presidente della Repubblica quanto è stato alto il rischio che il ct si dimettesse per la mancata collaborazione dei club?
«Non c’è stato. Penso di essere una persona molto responsabile, soprattutto nei momenti difficili. Questo lo è. Ho preso un impegno importante, anche spinto dall’entusiasmo del presidente federale, proprio per invertire la tendenza. Intendo rispettarlo».
Quindi, anche in caso di ulteriori ostacoli, lei sarà in panchina all’Europeo?
«Io voglio qualificarmi e giocarlo e gli ostacoli li affronto con decisione. Forse me ne aspettavo di meno. Ma soltanto quando sei dentro una situazione, la capisci. Da luglio interagisco con tutto il sistema: con le società di A, con la B, coi dilettanti, col settore giovanile. Ho perfino allenato sul campo l’Under 15. Tutto questo pagherà, ne sono sicuro. Sarebbe stato più facile fare il selezionatore, 7-8 giorni ogni tanto. Ma per quel ruolo, l’ho detto a Tavecchio, sarebbe bastato un altro qualsiasi, meno costoso».
Invece?
«Selezionare e basta è possibile soltanto se hai la crema, ma oggi siamo in una fase troppo delicata, non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia. Molti paesi, in Europa, ormai ci stanno davanti. Io devo creare una squadra con la s maiuscola. E la devo allenare».
I critici dicono che gli stage non servono: Germania e Spagna non li fanno.
«I capricci ho smesso di farli da bambino. Se anche la serie A portasse sempre squadre in finale di Champions, sarei contentissimo così, però la realtà è un’altra. E forse non abbiamo toccato il fondo».
I sostenitori segnalano che la Bulgaria, avversaria a marzo, domani giocherà un’amichevole e che Darmian ha convinto Prandelli in uno stage.
«Questo stage è saltato perché alla fine, per farlo, avrei dovuto dare le pettorine ai miei collaboratori. Chiamare giocatori di B significava sminuire il prestigio della Nazionale. Allora ho fatto un passo indietro, sperando di farne due in avanti la prossima volta».
La prossima volta è oggi: Tavecchio chiederà alla Lega di finire campionato e Coppa Italia 2016 entro il 15 maggio, uno stage a febbraio e la A a 18 squadre nel 2017-18.
«La riforma dei campionati ha una prospettiva oltre il mio mandato. Per l’Europeo è essenziale il calendario: è proprio necessario spalmare la Coppa Italia con una partita al giorno? Non mi importa quando inizierà la stagione o se si giocherà a Natale. Di sicuro è prioritario un periodo sufficiente per preparare l’Europeo. È il minimo sindacale. So per esperienza che un calciatore arriva a maggio scarico».
Dopo la promettente riunione con gli allenatori di A qualcuno ha cambiato idea?
«La collaborazione deve essere reciproca. Io ho grande disponibilità, me ne aspetto altrettanta. Due esempi: Mazzarri e Inzaghi mi hanno chiesto di non convocare Osvaldo e Abate, che stavano recuperando dagli infortuni. Mi sono adeguato».
L’accusa è di essersi dimenticato di quando stava dall’altra parte della barricata.
«Alla Juve mi arrabbiai una sola volta, per Chiellini, chiamato dopo 40 giorni di infortunio senza nemmeno una telefonata».
A proposito, Allegri ha detto che gli stage erano campati in aria.
«Ho letto che si è corretto e che ha detto di essere stato frainteso. Io avevo prospettato le ragioni del progetto. Il problema è l’aggettivo per lo stage: facoltativo. A scuola, se un compito era facoltativo, non lo faceva nessuno».
Quanti compiti deve fare il calcio italiano?
«Oggi non siamo né carne né pesce. A furia di inseguire il totem del possesso palla e di scimmiottare il tiki-taka spagnolo o l’intensità anglosassone, stiamo trascurando il nostro dna: il sacrificio e la cultura del lavoro, con cui colmare il gap tecnico. La Croazia ci ha fatto capire che c’è chi ci è superiore, a cominciare dall’esperienza. Modric, Rakitic, Mandzukic, Perisic, Brozovic, Srna avevano tante partite in Champions».
In effetti, sugli 800 calciatori delle 32 squadre iscritte, solo 33 erano italiani.
«Appunto. Bisogna avere l’ambizione di guardare in alto, ma i proclami sono facili. Il mio giro per i club è stato molto istruttivo. L’Udinese, organizzatissima, non ha quasi italiani nel settore giovanile. E del Chievo Primavera, che ha vinto lo scudetto, non c’è un ragazzo in prima squadra. Partiamo in secondo- terzo piano. Ci vuole umiltà».
Pentito della scelta?
«Sinceramente no, anche se devo far fronte a tante situazioni politiche e io non ho mai amato diplomazia e compromesso. Sono uno di campo, ho fatto del lavoro la mia arma».
Per questo il suo nome viene accostato ai club, come Milan e Psg?
«L’anno scorso ebbi diverse offerte, anche di una squadra inglese molto importante. Ma non ho mai parlato con nessuno: era questione di rispetto, avevo deciso di continuare con la Juventus. Poi è durato poco, ma è un altro discorso».
C’è qualcosa di meno noto che l’ha spinta verso la Nazionale?
«L’orgoglio di essere il primo ct meridionale. Tengo tanto alle mie origini, è stata una spinta in più».
L’inchiesta di Cremona sul calcioscommesse per lei non finisce mai.
«Sono le stesse cose da 4 anni, trite e ritrite. Questa vicenda mi ha fatto molto male, sotto tutti i punti di vista. Ho già pagato, chi mi ha conosciuto ha avuto il piacere o il dispiacere di conoscermi sa quali siano i miei principi e i miei valori. Fatico a capire l’aspetto mediatico della vicenda: passare con la mia faccia per uno che fa il calcioscommesse l’ho trovato veramente brutto».
È vero che anche lei ha un codice etico, non ratificato come quello di Prandelli?
«Anche il più grande giocatore del mondo è soggetto alle regole dello spogliatoio: ne perdi uno, ma ne trovi trenta. Il comportamento sia alla base di tutto. Pretendo educazione e rispetto. Una volta alla Juve Pirlo entrò nello spogliatoio direttamente dalla panchina, così introdussi la regola che chi usciva doveva fermarsi per forza, a meno che non uscisse in barella. Poi, ovviamente, devi vagliare di volta in volta le situazioni».
Balotelli ha possibilità di andare all’Europeo?
«Ho smesso di rispondere su Balotelli».
Nello stage ci sarebbe stata qualche novità?
«Mi sono piaciute le dichiarazioni di Vazquez. L’oriundo non deve considerare l’Italia come un ripiego perché non arriva alla propria Nazionale. Noi non siamo il deposito rifiuti di nessuno. Lui ha dato ampia disponibilità, sentendosi metà italiano perché ha la mamma padovana. Lo sto seguendo».
Gli altri nuovi talenti sono quasi tutti esterni d’attacco.
«Speriamo che crescano: vedo una lacuna nell’uno contro uno. Tu puoi dare organizzazione di gioco, ma poi la differenza la fanno questi. Berardi, El Shaarawy, Insigne, Cerci: sono tutti in grado di creare superiorità numerica ».
Nell’amichevole con l’Albania si è vista una novità importante, il doppio modulo come cardine tattico: è Guardiola che studia lei o viceversa?
«Non so se lui mi studi, ma in effetti la mia idea calcistica è proprio quella: cercare di utilizzare due tipi di soluzioni in fase di possesso e di non possesso. È il punto di arrivo che mi sono posto: trovare più qualità e fare assimilare le due situazioni. Con l’Albania usavamo un 3-3-4 o 3-2-5 in fase di possesso e un 4-4-2 in fase difensiva».
Peccato che i potenziali pilastri di questa duttilità in prospettiva - El Shaarawy, Insigne, De Sciglio - abbiano tutti infortuni seri.
«L’unico aspetto positivo è che un infortunio ti rende più forte. Io ne so qualcosa. Alla Nazionale ho dato un ginocchio e una caviglia.
Nessuno mi ha regalato niente: mi sono rotto tibia, crociato, caviglia, cartilagine del ginocchio. La psiche è fondamentale».
“La psicologia dell’allenatore” era il titolo della sua tesi all’Isef, 110 e lode.
«Teoria che confermo. Nel frattempo sono maturato, ho fatto un percorso, con esperienze incredibili, soprattutto quella ad Arezzo: mi ha segnato molto e mi ha fatto crescere tantissimo. La gavetta è importantissima. Certo, chi ha la possibilità di iniziare dall’alto fa bene ad approfittarne. Se l’avessero chiesto anche a me, avrei cominciato così pure io. Ma non me l’ha chiesto nessuno».
Da giovane diceva: nella nostra Costituzione manca la parola sport e gli insegnanti sono sottopagati. Lo ripeterebbe ora, da ct, al presidente Mattarella?
«Sì. Lo sport nelle scuole è fondamentale come lo è stato per la mia classe d’età. Adesso si sta perdendo: le ore di educazione fisica vengono utilizzate per fare altro e non è una bella cosa. Gli insegnanti sono anche educatori: un ruolo indispensabile, che merita un equo riconoscimento, anche economico».
Il ct è nazional-popolare per definizione: per questo andrà a Sanremo?
«Sono un appassionato di musica italiana. Mi piace cantare: Ramazzotti, Biagio Antonacci, Ligabue. Prima lo facevo di più. Da quando alleno, partecipare tanto alla partita mi ha un po’ distorto la voce».
Non è che il ct Conte, che da allenatore era l’immagine dell’energia, si stia abituando a comprimerla?
«Non vi preoccupate. L’energia la sto accumulando tutta. Esploderà al momento giusto ».