La penna degli Altri 04/12/2014 08:38
Di Francesco: «Io, il Sassuolo, Zeman e ora ci provo con Totti»
GASPORT (G. LONGHI) - Sassuolo mai così in alto: parte sinistra della classifica. Sabato il ritorno all’Olimpico, per 4 anni il suo stadio, lo stadio di un lontano scudetto. Non sono giorni banali per Eusebio Di Francesco.
Scandali, corruzione, caos, degrado: la Grande Bruttezza di Roma. «Amo quella città, ho anche comprato casa per tornarci. E soffro a vederla così. Lasciamo perdere il traffico, che fa parte del gioco. Il resto è intollerabile».
Per fortuna c’è la Roma. «Per fortuna c’è Totti: se penso alla squadra, penso a lui. Mostra le sue grandi qualità anche nelle cose più semplici. E ha una bella famiglia».
Ricordi dello scudetto 2001? «Il mio primo gol contro il Napoli. Il giovane De Rossi, che veniva ad allenarsi con noi. Tommasi, che qualcuno chiamava “anima candida”, ma che per me era il “gemello” visto che giocavamo nello stesso ruolo. Si capiva che avrebbe fatto una carriera importante fuori dal campo: ama parlare e discutere. Lo vedrei bene come presidente della Figc».
Capello, l’allenatore dello scudetto, non se la sta passando bene in Russia. «Mi spiace, anche se quando giocavo non avevamo un gran rapporto. Ha un carattere forte, che non significa essere arrogante: nel rispetto dei ruoli, ci siamo sempre detti le cose in faccia. Per uno come lui, abituato a vincere, non deve essere facile accettare un flop. Ma ci sta: non vedo campioni in quella Nazionale».
L’idea di andare all’estero? «Perché no, è un’esperienza interessante: Inghilterra o Spagna. Ma prima dovrei studiare le lingue».
E dovrebbe essere esonerato, così avrebbe molto tempo libero. «Allora speriamo che non accada».
L’anno scorso non l’ha presa molto bene... «Ho sofferto, ma non volevo piangermi addosso. Così ho traslocato in pochi giorni, ho preso la famiglia e me ne sono tornato a casa, a Sambuceto vicino a Pescara».
È vero che non vorrebbe allenare suo figlio Federico? «Preferirei di no, deve fare la sua strada da solo (gioca nella Cremonese, ndr), gli ho soltanto raccomandato di avere passione per questo lavoro ».
Ha il ruolo di papà? «Non proprio, lui è un esterno offensivo. E ci divide un’altra cosa: sabato tiferà Roma».
Lei non vuole che i giocatori stiano per ore davanti alla playstation e si facciano i tatuaggi. «I tatuaggi non li capisco, devono avere un significato importante. Che senso ha coprirsi il corpo? E i videogiochi tolgono energia e concentrazione, l’ha dimostrato uno studio scientifico. Io lo dico e lo ripeto ai ragazzi, ma non posso entrare a casa loro».
Meglio il sesso prima della partita? «Certo, meno dannoso».
Ha detto: chi fa il viziato lo manderei a stare qualche giorno con Zeman. «Capirebbe che cosa sono il sacrificio e l’impegno ».
A parte il 4-3-3 cosa le è rimasto di zemaniano? «Negli anni con lui alla Roma mi ha insegnato la cultura del lavoro e la curiosità per lo sport. Potrei parlare per ore con lui senza annoiarmi».
Ha cambiato modulo solo una volta: 3-4-3 con la Juve. E’ andata bene. Farà così anche con la Roma? «No, sono squadre diverse».
Ha sempre pensato di allenare? «Macché, proprio non ci pensavo. Finito di giocare, ho fatto anche il team manager alla Roma, ma ho capito che mi mancava troppo l’adrenalina del campo».
Ha detto: «Dopo gli allenamenti mi porterei Berardi a casa». «Una battuta per far capire che è un talento che deve maturare e che a volte sbaglia, prendendosi qualche cartellino di troppo».
Berardi come Balotelli? «Il contrario: Domenico è l’antipersonaggio, rifiuta di apparire».
In estate ha detto anche: «Il Sassuolo e Zaza saranno le sorprese». «Davvero? Allora ci ho visto bene».
Ma che sta succedendo a Zaza? La Nazionale gli ha fatto male? «Di sicuro non era abituato a certe pressioni».
Cosa ha significato il gol segnato da Acerbi contro il Parma? «Qualcosa di incredibile. Come la mail che mi ha mandato Borgonovo prima della partita promozione con il Livorno (18 maggio 2013, ndr). Diceva “Che succede, avete pura di andare in A?”. L’ho consegnato a Magnanelli, il capitano, perché la leggesse a tutti».
Di Francesco non sembra un allenatore che urla, con quegli occhialini da intellettuale. «Urlare non serve, il sergente di ferro è una figura da preistoria del calcio. Io intellettuale? A dir la verità ho interrotto ragioneria e mi sono pentito, anche se poi ho continuato a studiare da solo».
Cosa sta leggendo? «Ho finito Il sogno di Futbolandia di Jorge Valdano e ho cominciato L’arte della guerra di Sun Tzu».
E’ sempre impegnato nel sociale? «Certo, da oltre dieci anni sono presidente della onlus William Bottigelli, dedicata al figlio di un ex massaggiatore del Piacenza. Aiutiamo i bambini in difficoltà».
Lei giocava nel Piacenza autarchico di Cagni, l’anno scorso il Sassuolo si è salvato segnando soltanto gol italiani. «Una bella coincidenza, non una scelta ideologica. Non sono contrario agli stranieri, ma devono fare la differenza». A proposito di stranieri: si aspettava il boom di Vrsaljko? «Io sì, e può ancora migliorare».
Prima dell’esonero e del trasloco lampo viveva in un ex convento: anche per questo è così religioso? «Non scomodo Dio per una partita di calcio — ride — e multo chi bestemmia. Non lo sopporto ».
Quando ha sentito Squinzi per l’ultima volta? «Dopo la vittoria sul Verona».
E dopo il 7-0 con l’Inter? «No, tutti in silenzio, io per primo».
E’ successo anche l’anno scorso: come avete fatto a riprendervi trasformando un disastro in una risorsa? «Campo e testa, solo questo. Stavolta è stato peggio, ha rischiato di cancellare quattro mesi di lavoro».
Il Sassuolo è come il Chievo? «Il punto di riferimento è quello: conquistare credibilità e mantenere la categoria».