La penna degli Altri 01/11/2014 10:44

Quando era solo il derby della “buona gente”

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LA REPUBBLICA (E. SISTI) - Roma esterno giorno. Ines è una giovane vedova arrivata da Salerno per incontrare il suo amante. Nella borsetta nasconde una pistola che non sa nemmeno come funziona, nel cuore un tormento, nel ventre un erede. Vorrebbe vendicarsi dell’avvocato che l’ha sedotta e abbandonata. Gli si affeziona Giulio, incontrato per caso ai botteghini dello Stadio Flaminio. Il ragazzo è sfuggito a un pranzo con i parenti della fidanzata. Zio Clemente, ricco e burino, era pronto a offrirgli un lavoro, ma lui preferisce raggiungere gli amici allo stadio coi soldi di mamma nella giacca. Da anni il padre di tre dattilografe, con l’azienda in difficoltà, cerca di vincere col Totocalcio le 300 mila lire che lo rimetterebbero in sesto. Quando scopre di aver solo fatto 12 ci rimane così male che non si rende conto di aver vinto, non 300 mila lire, bensì 4 milioni: a fatica gli amici, commossi, gli spiegano che è 13 volte di più. Sullo sfondo, cornice e contenuto di questa domenica qualunque di storie, delicatamente, tristemente intrecciate, c’è un Roma- , gigantesca tavola apparecchiata per il calcio, il tifo e i sentimenti di 60 anni fa.

La partita è il punto di raccolta dei personaggi de La domenica della buona gente di Anton Giulio Majano. Il film uscì nel gennaio del ’53 ispirato al radiodramma di Vasco Pratolini, che amava raccontare le à come un luogo corale, «un’arcadia di amore, amicizia, e solidarietà». Fecero in tempo a inserire alcune immagini di un Roma- giocato qualche giorno prima (il 4 gennaio) e vinto dalla Roma per 5-2, era la Roma di Broneè, Pandolfini, Galli, Arcadio Venturi e Sundqvist, era il dell’ex Amadei e del neo-acquisto Jeppson, che costò a Lauro la cifra record di 105 milioni.

Majano girò il film nell’estate del ’52, gli sceneggiatori già sapevano che la Roma avrebbe di nuovo giocato in serie A dopo l’unica discesa in B della sua storia. All’inizio del film si vedono le tribune vuote dello Stadio Olimpico, non ancora ope- rativo. Lentamente il Flaminio si riempie, accoglie i suoi spettatori scamiciati, caciaroni, spiritosi, contenti perché hanno trovato i soldi per comperarsi il biglietto. Loren, Salvatori, Sanipoli, Manfredi, Fiore, Talegalli, Romano, Ninchi, Fiorentini, Memmo Carotenuto. Buffo che Manfredi doppiasse Salvatori, mentre la sua voce fosse quella di Corrado Mantoni! Erano loro le piccole stelle, gli ovattati eroi della “domenica romana”, come recitava il titolo della versione francese. La gente affluisce dalle borgate, toccata ancora dalla miseria, eppure sorridente, forse perché animata da quei “due soldi di speranza” che all’inizio degli anni Cinquanta trasformarono idealmente il neorealismo degli “stracci” in un neorealismo più ottimista, ironico o vagamente rosa. Qualcuno arriva in treno o col furgone da , portandosi dietro il ciuccio (che riesce persino a entrare allo stadio!).

Un prete napoletano residente a Roma, viene preso in giro dai suoi chierichetti che avevano scommesso con lui. Ma quel che conta è che forse lunedì Giulio troverà lavoro. Unico aggancio con la precarietà dei nostri giorni. Perché la domenica della buona gente non esiste più.