La penna degli Altri 07/10/2014 11:15
Se anche il gol finisce in politica
CORSERA (G. BUCCINI) - Certo, dev’essere liberatorio. Mentre il tifoso comune si macera davanti alla tv per un rigore carogna, o dalla curva maledice impotente i defunti dell’omino in giacchetta gialla (un tempo nera) , beh, deve dare un sottile brivido sottopelle poter proclamare a parenti e amici: «Domani a quell’arbitro gliela faccio vedere io!». E l’indomani, anziché intrupparsi al Bar Sport tra cappuccini tiepidi e imprecazioni roventi, filare a Montecitorio, sorseggiare fieri un caffè alla buvette e annunciare una bella interrogazione parlamentare. Nientemeno. Stavolta, dopo Juventus-Roma, coi suoi tre rigori e un gol forse gravato da fuorigioco (attivo? passivo?), i nostri eroi si sono schierati in formazione bipartisan: i deputati Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia, Ignazio Abrignani di Forza Italia, Marco Miccoli del Pd e Paola Binetti dell’Udc (momentaneamente distolta da più serie questioni etiche) chiederanno — indignati — al governo di rispondere sull’operato dell’arbitro Rocchi, da domenica sera appena un gradino sotto il comandante Schettino nella hit parade dei cuori giallorossi: si tira in ballo anche la Consob (trattasi di società calcistiche quotate in Borsa).
Miccoli, renzianamente, ci infila pure la meritocrazia, e riesce a dichiarare: «... più che dall’articolo 18 sono sicuro che gli imprenditori stranieri siano messi in fuga da questa arbitrarietà (sic) e mancanza di certezze nell’applicazione delle regole », svelandoci infine che non le lentezze del processo civile, non le pastoie della nostra burocrazia sono responsabili della stagnazione italiana, ma il cripto-juventino Rocchi. Naturalmente Miccoli e i suoi sodali non s’inventano nulla di nuovo. Churchill sogghignava spiegando che noi italiani andiamo alla partita di calcio come a una guerra e alla guerra come a una partita di calcio. Calcio e politica sono da sempre binomio intrigante, prova ne siano il fascino che il pallone ha esercitato su tutti i dittatori in cerca di consenso — da Mussolini a Videla — e le mirabolanti favole di passione e sudore («Splendori e miserie...») narrate da Eduardo Galeano. Si parva licet, troviamo, già trent’anni or sono dalle nostre parti, serissime interrogazioni di tre senatori comunisti a favore di O’ Lione Vinicio, sloggiato dalla panchina dal patron dell’Avellino Sibilia: «Si pone con urgenza il problema di garantire in una società democratica (sic) il rispetto della dignità degli allenatori». E via così, di interrogazione in interrogazione, con sovrano sprezzo del ridicolo, fino ai nostri giorni. Tuttavia questi sono tempi di ferro, sorridere è sempre più difficile.
L’ultimo cattivo servizio che la nostra politica rende al Paese è infilare uno spirito da «lei non sa chi sono io» nella rissa divampata da domenica sera sui social network di tutta Italia. Si dirà che l’Italia è appunto questa e i deputati ne sono una... avanguardia. Gianluca Buonanno, lo stravagante leghista che ha proclamato Varallo Sesia «Comune non islamizzato » e messo a dieta i concittadini dietro compenso (cinquanta euro per tre chili persi in un mese), porta lo «scandaloso arbitraggio» alla Commissione europea. Paolo Cento, antico difensore di ultrà, sostiene che Roma sia stata «umiliata, offesa, derisa» e chiede al sindaco Marino di battere i pugni. Sui profili Facebook di numerosi dirigenti del Pd romano appaiono commenti del tenore «ladri da vomitare, schifosi, Moggi era un’orsolina».
Questa è l’Italia e ha i parlamentari che merita, certo. Tuttavia un po’ di serietà, se non di sobrietà, non guasterebbe. Serio sarebbe non stupirsi la prossima volta che centinaia di mentecatti, scambiando per Vangelo le sciocchezze di queste ore, se le suoneranno di santa ragione davanti allo stadio. Serio sarebbe non prendersi così sul serio. Ma la nonna di Florenzi dura un pomeriggio, tutto il resto sono giochi di guerra.