La penna degli Altri 17/10/2014 12:06

E ora c'è pure la trattativa Stato-Ultrà

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IL TEMPO (V. IMPERITUA / A. PARBONI) -  Sono le 20.45 del 3 maggio scorso, Ciro Esposito si trova da qualche minuto sotto i ferri dopo essere stato colpito da un proiettile esploso dal reo confesso Danielino , e la situazione all’Olimpico è esplosiva: fuori dallo stadio decine di uomini delle forze dell’ordine in assetto antisommossa attendono di sapere se la partita (già in ritardo sulla tabella di marcia) inizi o meno. All’interno dello stadio invece Gennaro De Tommaso, detto «A Carogna», siede sulla balaustra che divide la curva nord con il terreno di gioco: indossa una maglietta che inneggia alla libertà per Speziale, l’ultras catanese condannato in via definitiva per l’omicidio allo stadio etneo del vice Filippo Raciti. Gli animi sono incandescenti, i tifosi partenopei, coordinati da De Tommaso che dirige il gruppo guida dei Mastiffs «ritiravano tutti gli striscioni veicolando ai funzionari dell’ordine, tramite gli stewards, che i tifosi intendevano invadere il campo qualora il loro capitano non si fosse recato sotto la curva per parlare con i capi ultras». Una situazione esplosiva - già certificata dai commissari di campo della Figc e dalle telecamere che trasmisero la scena in mondovisione - che portò uno dei responsabili della federazione a contattare «il responsabile dell’ordine pubblico, quindi, dopo alcuni colloqui con i dirigenti del , veniva deciso di scortare il capitano della squadra Hamsik sotto la curva nord per dialogare con la tifoseria e in particolare con il loro maggiore rappresentante, ovverosia De Tommaso».

Genny a Carogna intanto rimaneva appeso alla balaustra: atteggiamento che, da un lato gli ha consentito di «incrementare l’animosità della curva e di comunicare l’intenzione della curva di non permettere l’inizio della gara se non dopo un incontro chiarificatore con il capitano, dall’altro di imporsi quale interlocutore delle autorità civili e sportive per il successivo via libera». Ricapitolando quindi, il capo ultras del - che prima di arrivare all’Olimpico aveva guidato un gruppo di tifosi in assetto da guerriglia urbana per le vie di Prati - a nome dei tifosi che riempievano la curva, aveva condizionato l’inizio della partita a un incontro con il povero Hamsik che avrebbe dovuto rassicurarlo sulle voci impazzite che parlavano della morte di un tifoso. Incontro che avvenne, visto che le forze dell’ordine (in vista soprattutto di un deflusso incontrollato dallo stadio da parte delle due tifoserie) fecero l’unica cosa sensata da fare: «Le autorità - scrivono ancora i giudici del riesame che hanno rigettato il ricorso dell’avvocato Lorenzo Contucci che chiedeva l’interruzione della misura cautelare dei domiciliari per lo stesso De Tommaso - al fine di evitare possibili degenerazioni della situazione di tensione registrata nella curva, si inducevano ad organizzare l’incontro richiesto». Con buona pace del ministro Alfano che, il giorno successivo ai fatti dell’Olimpico, si era affrettato a dire che «la trattativa tra Stato e capi ultrà per giocare la finale di coppa Italia non sta né in cielo né in terra».

 

E se allo stadio, per assicurare l’ordine pubblico, si dovette imbastire un incontro volante (con De Tommaso che abbandona la balaustra per scendere in campo a parlamentare con Hamsik), qualche ora prima, nel cuore della Capitale, lo stesso De Tommaso marciava alla testa di un centinaio di ultras vestiti come opliti e schierati a falange nel tentativo di incontrare i supporters della che proprio nei dintorni di piazza Mazzini si sarebbero trovati a passare per raggiungere l’Olimpico. Sono le 17.15 - appena mezz’ora prima della rissa avvenuta qualche chilometro più a nord e che lascerà sull’asfalto il corpo esamine di Ciro Esposito - e un funzionario della Digos annota che nella zona di piazza Mazzini - area limitrofa a quella dove era prevista la concentrazione dei bus con i tifosi fiorentini - si trova «un folto assembramento di giovani, di aspetto bellicoso e valutabile oltre le cento unità, privi di insegne e di bandiere riferibili ad uno dei club impegnati nella partita, alcuni dei quali travisati con sciarpe e armati di aste e mazze». Come tirati fuori da una foto degli anni ’90, i supporters napoletani che accerchiano Prati vengono inquadrati dalle forze dell’ordine che veicolano il gruppo impedendo loro di attraversare il Tevere verso piazza delle Belle Arti. Per quanto «scortati» dalle forze dell’ordine, i tifosi guidati da De Tommaso «avanzano compatti e serrati marciando con modalità paramilitari, talvolta accendendo e lanciando fumogeni, facendo esplodere petardi, brandendo e agitando minacciosi aste rigide e bastoni verso le forze dell’ordine». De Tommaso è lì, alla testa del gruppo che, non avendo potuto raggiungere i tifosi viola, cerca lo scontro con polizia e carabinieri. «A Carogna» infatti è «sempre alla testa della compagine mentre, talvolta camminando all’indietro rivolto verso gli altri tifosi, da istruzioni sugli slogan da scandire, da disposizioni strategiche sul ripiegamento o l’avanzamento dei compagni, orienta il comportamento dei tifosi, richiama coloro che sembrano volere agire di testa propria intimando di seguire il resto del gruppo. Gruppo - scrivono ancora i giudici - «schierato a mo’ di falange, con le aste impugnate orizzontalmente a formare una lunga linea retta». Sono le 18,18, sembra una scena tratta da un film di guerra e invece è il pomeriggio di follia che ha fatto da contorno alla finale di coppa Italia: Ciro Esposito, appena una manciata di chilometri più in là, è appena stato colpito al torace e il suo sparatore, , sta subendo il pestaggio ritorsivo da parte dei supporters del . Sotto lo stadio i normali tifosi fanno la fila ai tornelli. Quel pomeriggio di un giorno da cani è ancora lontano dalla fine.