La penna degli Altri 24/10/2014 10:58
Alle radici della crisi: piccoli e fragili in Europa. È questo il calcio italiano?
GASPORT (F. LICARI) - In principio era una questione di moduli: con quel 3-5-2 «difensivo», si diceva, la Juve — unica italiana competitiva nelle coppe — non sarebbe stata «europea ». Poi sono arrivati Guardiola con il Bayern, e Van Gaal con Olanda e United, a spiegare che non c’è niente di anti-europeo nel 3-5-2 (e comunque il modulo di Conte era molto più offensivo di tanti 4-3-3). Si è parlato anche di bilanci e fatturati. Ed è innegabile che fare concorrenza ai budget di Real, Bayern, Barcellona e Chelsea sia quasi impossibile: però l’Atletico — miracolo sommerso da debiti — è arrivato a un minuto dall’ultima Champions, mentre l’Olympiacos, esempio recente, ha un bilancio oltre quattro volte minore di quello bianconero. Ricchi sì, ma non tutti scemi. E allora? E allora perché da Inter- Bayern 2-0, maggio 2010, ultima Champions vinta, l’Italia è quasi scomparsa dalle coppe?
Bilancio zero Le cifre sono impietose. In queste quattro stagioni siamo riusciti a conquistare una semifinale, persa, dalla Juve con il Benfica. Ma in Europa League. E dopo essere «retrocessa» dalla Champions. Mentre nello stesso tempo la Spagna ha vinto 4 coppe e portato complessivamente 20 squadre dai quarti al trionfo. Anche Inghilterra, Germania e Portogallo hanno fatto meglio (grafico). Di più: non è mai successo, nella storia della Champions, di trascorrere 5 stagioni senza un’italiana in semifinale. Se Juve e Roma abbandonano il ring prima del previsto il record negativo è lì, vicinissimo, basta aspettare maggio per renderlo ufficiale.
E l’arroganza dov’è? Impietose come le cifre sono le sfide con le grandi. Perché, sì, la Juve alla fine ha la meglio su Malmoe, Nordsjelland e Trabzonspor, e la Roma spiana il Cska se lo trova sulla sua strada, sicuro. Ma quando poi arrivano Bayern, Atletico, Real e Benfica la straordinaria «arroganza» del campionato si trasforma in timidezza, esitazione e sguardi perplessi in campo. Qualunque sia l’approccio alla partita. La Roma, per esempio, ha peccato di presunzione pensando di giocare a viso aperto con il Bayern (la storia insegna che, da Inter-Barcellona a Cska-Bayern, Guardiola soffre le rivali chiuse) ma almeno non ha snaturato le sue caratteristiche. La Juve, invece, in Europa è proprio un’altra, da Conte ad Allegri, però negli ultimi tre anni è difficile ricordare un pronti-via così remissivo come quello di Atene (sfortunato sì ma tardivo il rientro in partita): come se mentalmente i giocatori entrassero in campo non più sicuri di imporsi.
Troppi motivi, non uno Mentalità fragile. Preparazione fisica scadente. Pochi fuoriclasse (Tevez, il migliore della A, in Europa rimpicciolisce). Cattive abitudini italiane (Prandelli accusava i nostri club di adattarsi al «risparmio»). E anche la tattica: eravamo maestri mondiali, oggi troppi si accontentano del comodo 3-5-2 declinandolo però molto diversamente da Conte. Risultato: siamo in seconda fascia. Spagna, Germania e Inghilterra, ma anche Portogallo, sono di un’altra categoria. E soprattutto non si vede svolta all’orizzonte. Juve e Roma, per favore, smentiteci fin dal prossimo turno.