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La penna degli Altri 11/09/2014 10:42

«Stupore e riprovazione», Platini non perdona Tavecchio

platini uefa

CORSERA (L. VALDISERRI) - «Sono frasi che hanno provocato stupore e riprovazione». Le parole di Michel Platini, presidente della Uefa, introducendo la quarta conferenza Respect Diversity, sulla lotta a razzismo, discriminazione e intolleranza nel calcio, sono chiare. Ed è una scelta non fare il nome di chi ha pronunciato quelle frasi sui «mangiatori di banane» e cioè Carlo Tavecchio —, che da Platini viene citato come «colui che è recentemente diventato presidente Figc». La Uefa ha aperto un’indagine sul caso Optì Pobà: «C’è chi deciderà in merito e non tocca a me pronunciarmi».

Il finale arriverà entro fine mese — forse prima — perché la Uefa si è presa il tempo per tradurre le carte dell’archiviazione italiana. L’assenza del presidente federale della nazione che ospita l’evento è clamorosa. Solo il presidente della Lega di serie A e vicepresidente federale vicario, Maurizio Beretta, per ovvi motivi, non vede nelle parole di Platini «un attacco a Tavecchio, semmai un elemento che ha ricordato un dato di cronaca». Per due deputati del Pd, Khalid Chaouki e Laura Coccia, «l’imbarazzante assenza del presidente della Figc costituisce un’umiliazione per l’Italia e per il calcio italiano ed è di per sé una sconfitta in tema di lotta al razzismo».

Platini ha affermato che non è più tempo per un calcio «bianco e machista, ma non possiamo essere orgogliosi di questa quarta edizione di Respect Diversity negli ultimi undici anni perché è la constatazione di un fallimento». Il razzismo è ancora ben presente nel calcio, megafono per chi vuole fare passare certi messaggi. Per questo è importante combatterli con leggi efficaci — sportive e non —, ma lo è altrettanto aprire il dibattito a 360 gradi per evitare ogni tipo di intolleranza (genere, colore e orientamento sessuale), ma anche, come ha detto acutamente un delegato croato, dell’ultimo grado di discriminazione: la povertà.

Sarebbe stato bello parlarne con Platini, «integrando» tutti i mass media presenti, ma nessuno è perfetto, nemmeno Le Roi. Lo erano, semmai, i suoi calci di punizione. In questo senso, con lo spettacolo e con i comportamenti, il calcio può dare una mano alla crescita sociale sui temi antirazzisti. Per questo, tra i relatori, c’era il presidente della , Andrea Agnelli, che ha parlato della partnership con l’Unesco, chiamata «Gioca con me», che «è incentrata sull’educazione come chiave per combattere tutte le forme di discriminazione e promuovere l’integrazione. L’Italia sta prendendo coscienza solo adesso della portata dell’immigrazione di massa. Le nostre squadre sono diventate laboratori multiculturali. I nostri tifosi non sono interessati alla provenienza dei calciatori, l’unica cosa che conta è che siano una squadra. Nella Germania campione del mondo Miroslav Klose, che è nato in Polonia, è diventato un’icona. Se l’Italia raggiungesse un livello di integrazione sociale e sportiva pari a quello tedesco ne trarrebbe vantaggio sia dentro che fuori dal campo».

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