La penna degli Altri 12/05/2014 11:48

Il Brasile ha già vinto il titolo mondiale dei ritardi

maracanà

CORSERA (R. COTRONEO) - Il nuovo stadio di San Paolo, dove si giocherà la partita d’esordio, è già stato inaugurato tre volte. Una delle quali dalla presidente Dilma Rousseff, con tanto di selfies con gli operai. Peccato che i lavori non siano affatto finiti: manca una parte della copertura, una tribuna e tutta la rete di telecomunicazioni. Poi la Rousseff è volata a Curitiba, nel Sud. Stessa storia, taglio di nastri, sorrisi alle telecamere, ma qui nemmeno la metà dei seggiolini è stata montata. Si tratta dello stadio sul quale la Fifa aveva lanciato il più serio degli ultimatum, minacciando di spostare altrove le partite.

A Cuiaba, nel Mato Grosso, giovedì scorso c’è stata la nona vittima del Mondiale brasiliano: un operaio è morto dopo aver ricevuto una scarica elettrica. L’Arena Pantanal è il terzo stadio ancora non finito, mentre il quarto è quello di Natal, dove l’Italia giocherà contro l’Uruguay il 24 giugno. Dettagli, ritocchi, tutto andrà a posto nei prossimi trenta giorni, giurano i brasiliani. Anche la Fifa ha smesso di sgolarsi: d’altronde cosa potrebbe fare? Jerome Valcke, il braccio di Blatter, ormai ne parla al passato: avere a che fare con la burocrazia brasiliana, tre livelli di governo, è stato un inferno. Scontro di civiltà, i cronometrati svizzeri contro la radicata cultura dell’ultimo minuto, del «tutto si aggiusterà, rilassatevi».

A volte persino rivendicata dai brasiliani, come usa fare l’ineffabile ministro dello Sport Aldo Rebelo, autore di battute e scuse che a Zurigo hanno provocato più di un travaso di bile. E non solo. Alla stampa britannica preoccupata per la sicurezza dei tifosi, il ministro ha risposto che in Iraq la situazione è assai peggiore, «e lì avete mandato e perso un sacco di soldati ». Se si pensa che i dodici impianti avrebbero dovuto essere consegnati alla Fifa il 31 dicembre scorso, per poi mettere in calendario eventi e test vari, è facile avere un’idea del salto nel buio che rappresenterà l’evento.

Il difficile conto alla rovescia sta provocando in Brasile un clima di incertezza — e di mancanza di entusiasmo — che era difficile da immaginare quando il Mondiale venne assegnato alla patria indiscussa del futbol. Le polemiche sui ritardi sono amplificate dalle cifre sulle spese gonfiate, dalla lunga lista delle promesse non compiute sulle infrastrutture. Sotto accusa l’idea, tutta politica e clientelista, di spalmare il torneo su un numero eccessivo di à. Se il Brasile aveva due Mondiali da giocare — uno in campo, l’altro come vetrina della propria modernizzazione — ormai appare chiaro che il secondo è già perso. Ora c’è da sperare che — a parte i teloni di plastica che i tifosi vedranno in tutti gli aeroporti, rimasti a metà — almeno funzionino i cellulari, si riesca ad arrivare allo stadio e non manchi la luce all’improvviso.

A toccar ferro è anche il governo. Dilma Rousseff cercherà la rielezione a ottobre e i suoi indici di popolarità sono in netto calo. Se qualcosa dovesse andar storto nell’organizzazione del Mondiale, addio secondo mandato presidenziale. I movimenti sociali sono sul piede di guerra, sanno che l’evento può dar loro forza e visibilità. Come avvenne l’anno scorso, durante la Confederations Cup. La lista del malcontento in Brasile è assai lunga. Soltanto a San Paolo, questa settimana sono previste manifestazioni dei senza tetto, protagonisti negli ultimi tempi di varie occupazioni. Le parole d’ordine sono forti, «não vai ter Copa», non ci sarà il Mondiale, minacciano da tempo. Incubo delle forze dell’ordine sono le prevedibili infiltrazioni dei black blocs. Anche i dipendenti dei mezzi pubblici e gli insegnanti, a caccia di aumenti di stipendio, cercano di approfittare della situazione. Un governo in difficoltà, e con l’incubo di dover usare l’esercito a giugno, con le telecamere di tutto il mondo puntate sulle strade, può essere più facilmente piegato.