La penna degli Altri 25/11/2013 08:10

Ciao «Fornaretto» ottavo Re di Roma



Una strana storia, quella del centravati più grande che la Roma abbia maiavuto. Perché lui quel ruolo di punta centrale, quando ancora non esisteva l'attuale definizione degli attaccanti, sconosciuto il termine «punta», non voleva proprio giocare. Aveva cominciato da ala e quella era la posizione prediletta. Ma intanto dall'Ungheria era arrivato Alfreddo Schaffer, un allenatotre di straordinaria personalità. Quando aveva preso l'Hungaria di Budapest, ultima in classifica, il suo presidente gli aveva chiesti quanti rinforzi gli fossero serviti per raggiungere la salvezza, aveva risposto che con quei ragazzi avrebbe potuto vincere lo scudetto. E lo vinse.



Fu dunque Schaffer a convincere quel ragazzo che la Roma aveva bloccato dopo una selezione a Testaccio, che lui doveva essere l'uomo dei gol e che il ruolo di centravanti gli era cucito addosso come un abito su misura.Un anno in prestito all'Atalanta, poi il ritorno a Roma: nella sua squadra, nel ruolo che il destino gli aveva assegnato. Era stata una firma illustre del giornalismo, l'imagnifico Bruno Roghi, a celebrarlo come continuatore della dinastia aperta da Romolo e chiusa da Tarquinio il Superbo, appunto l'ottavo Re di Roma.



Nel primo scudetto della storia romanista, quello degli anni di guerra, una presenza fondamentale. Trenta presenze, il massimo consentito dal campionato a sedici squadre, un privilegio condiviso soltanto con Brunella. Coscia e Pantò, diciotto resti messe a segno. Resta difficile, per chi non lo ha visto dal vivo, comprenderne a fondo la grandezza. Personalmente, non ricordo un altro giocatore altrettanto veloce senza che la palla si staccasse mai dai suoi piedi fatati, progressione micidiale, lucida capacità di esecuzione.



Alla Nazionale sarebbe arrivato tardi, ventottenne, forse nei suoi confronti Vittorio Pozzo aveva lo stesso ateggiamento tenuto nei confronti di , troppo bravo per farsi capire dai compagni. Però ebbe l'occasione, all'esordio, di giocare con sei campioni del Grande Torino, due mesi prima che lo schianto di Superga rapisse nel cielo degli eroi la squadra più bella del calcio italiano.



Ma Amedeo aveva dovuto indossare la maglia dell'Inter prima di arrivare all'azzurro tanto sospirato, quando era alla Roma aveva trovato porte chiuse. L'Italia vinse per tre a uno, il gol che avrebbe messo la parola fine alla partita, il Fornaretto lo avrebbe con uno dei suoi colpi geniali, un pallonetto da fuori area a lasciare di sale Eizaguirre, uno dei tanti grandi portieri che, da Zamora in poi, hanno onorato un'autentica tradizione.



Con la Nazionale, Amadei avrebbe infine collezionato quattordici presenze, equamente divise tra i due club con i quali avrebbe chiuso la cariera agonistica, sette per l'Inter, sette per il . Vorrei sottolineare come Amedeo fosse soprattutto, al di là della sua classe criostallina con il pallone tra i piedi, una persona splendida, di rara educazione, di rara civiltà.



Il forno di Frascati, che gli aveva procurato un soprannome graditissimo, lo ha visto fino a tarda età al posto di comando, dietro una poltrona, di quella che nel frattempo era diventata un'industria panificatrice di grande dimensione. Attivo e lucidissimo fino agli ultimi mesi, quando la salute gli aveva impedito di essere protagonista alla presentazione dell Hall of Fame gialorossa. Ci mancherai.