La penna degli Altri 17/10/2013 11:21

Ascanio Celestini: «La mia Roma è Totti. Però gli stadi sono come paesi stranieri»

GASPORT (A. SPALLA) - Tiranno per finzione e acuto osservatore di borgata allo stesso tempo. Quando una à vive un presente caotico, una buona idea è rivolgersi agli artisti, sempre capaci di estrarre idee dal caos. Ascanio Celestini, attore e regista, ci racconta Roma e la sua idea di sport.

Nelle sue rappresentazioni ha raccontato il calcio da una prospettiva popolare. Quale valore ha per lei questo sport? «Il calcio è come la religione, tutti abbiamo delle basi. È come una preghiera o il segno della croce, sapremmo farli anche se non fossimo credenti. Il calcio è così: mio padre era della Roma e io sono della Roma. Un imprinting».

E in borgata com’è vissuto? «Nella mia vecchia casa di Morena vivevo sopra un’officina e il titolare ascoltava tutto il giorno la tipica radio romanista dal suo furgone, quindi, anche non volendo, a casa mia bastava andare al bagno per sapere le ultime sulla Roma. Ed è lo stesso con questa Roma capolista, sarebbe impossibile non saperlo anche per coloro che non s’interessano di calcio. Come sarebbe difficile non vedere le scritte “te l’ho alzata in faccia” in tutto il quartiere».

Non pensa che il calcio romano si sia allontanato troppo dalle periferie? «Sì, si sono persi i punti di aggregazione. Nel nostro quartiere si giocava nel “prato”, che poi è diventata piazza Castrolibero. Noi giocavamo lì ed era normale. Se mio figlio invece volesse giocare, dovrei iscriverlo a una scuola calcio. Gli unici che continuano a fare sport all’aria aperta sono gli stranieri, che però vivono condizioni di socialità differenti».

Nel suo spettacolo, “Discorsi alla Nazione” (al Teatro Vittoria fino a domenica 20), rappresenta un tiranno chiuso nel suo palazzo, che disprezza i propri sudditi. Il mondo dello sport italiano sta diventando tirannico? «Esiste una distanza troppo grande fra il calcio giocato e il calcio seguito attraverso i mezzi di comunicazione. È un po’ come la pallina bianca della roulette. Certo, è determinante il punto in cui si ferma la pallina, però attorno c’è tutto un mondo di persone con interessi, scommesse, aspettative. È come se il calcio fosse una narrazione riveduta e corretta. Ma non voglio fare moralismi, anzi, questo casino mi diverte».

Roma– è stata anticipata a domani per evitare il sovrapporsi con la manifestazione di sabato. Queste due realtà, separate per questioni di ordine pubblico, sono però accomunate da alcune istanze. Cosa le unisce e cosa le separa? «Negli anni scorsi mi è capitato di partecipare ad “Hasta Siempre Bagna”, un festival organizzato per ricordare Matteo Bagnaresi, tifoso del Parma travolto da un pullman di juventini nel 2008. Era un ultrà, però era anche un ragazzo molto attivo politicamente. E i suoi amici si sono incontrati rendendosi conto di avere bisogno di politica e hanno dato vita a questa manifestazione. Questo perché nel calcio c’è bisogno di socialità. Poi il problema è che tra coloro che seguono il calcio in maniera totale, diventa più facile infiltrare una serie di istanze radicali e superficiali ».

Che idea si è fatto delle discussioni sulla discriminazione territoriale? «Non si comprende che ciò che accade allo stadio è quello che accade nella società»

Chiudere le curve aiuta? «Non cambia nulla. Se esiste un linguaggio violento, bisogna arginarlo a monte. È sbagliato pensare di risolvere le questioni astraendole dal contesto sociale. Lo stadio è come se fosse uno stato straniero ed è come se noi l’avessimo invaso senza nemmeno conoscerne la giurisdizione».

Questa Roma americana, che persegue un modello di business di rottura, non è un po’ un colpo al cuore per un tradizionalista come lei? «La Roma potrebbero comprarla pure i cinesi, non cambierebbe. Sarebbe sempre una questione di guadagni. Anche questo rientra nella grande narrazione del calcio, con quelli che “s’ammazzerebbero” pur di rivedere la Roma italiana».

Parafrasando il titolo di un libro di «E mo’ te spiegoRoma », le chiederei di spiegare cos’è invece per Roma. «A differenza di altri giocatori, è un personaggio in cui il tifoso si rivede, perché crede in qualcosa in cui credono tutti i tifosi. È fuori dagli schemi del calcio di adesso, sembra più un giocatore più degli anni ’70, uno che non sta inmezzo a scandali. Potrebbe tranquillamente essere il mio vicino di casa».