La penna degli Altri 18/09/2013 11:49

Rudi già più grande di Luis e ZZ

L’ha detto di fronte alle telecamere a fine partita, l’aveva soprattutto fatto capire alla Roma nell’intervallo: «Ho detto ai miei che se avessimo vinto in rimonta sarebbe stato grande». E grande è stato. Grandissimo. Una sensazione che i tifosi giallorossi avevano praticamente dimenticato. Perché nei due anni passati, e quindi nelle 76 partite di campionato precedenti all’arrivo di , era successo solo una volta di avere il morale sotto ai piedi dopo 45 minuti e alle stelle alla fine. Era successo nove mesi fa, era il 2 dicembre, c’era ancora Zeman, era uno dei momenti migliori della seconda avventura romanista del boemo. La settimana dopo ci sarebbe stata la bella vittoria sulla . Ma quel pomeriggio del 2 dicembre a Siena ci vollero una doppietta di e il gol di Perrotta per cancellare la rete iniziale di Neto. Bello, emozionante. Unico. Nel vero senso della parola. Perché non era successo prima e non sarebbe successo dopo, neppure con l’arrivo di Andreazzoli. Con Luis Enrique l’impresa non era riuscita mai, tant’è che a un certo punto di quella stagione i romanisti si erano l’anima in pace: una volta andati sotto, era praticamente inutile sperare di portare a casa i tre punti. Ora sembra tutta un’altra storia, ora i secondi tempi non sono un incubo a cui mettere termine il prima possibile. Al contrario, non si vede l’ora di ricominciare per schiacciare gli avversari, per mostrare i muscoli e i piedi buoni. Tre su tre.

In tutte le partite la Roma di ha guadagnato punti nella ripresa. Sette su nove. Che si può a ragione continuare a essere prudenti, perché siamo appena all’inizio, ma Agatha Christie insegna che tre indizi sono una prova. La dimostrazione che qualcosa è cambiato. Che Rudi dalla Francia, da Lille, dalla Nemours delle sue origini, non ha portato solo idee di gioco ma anche la testa per questo gioco. La capacità di stare dentro la partita sempre, di non evaporare alla prima difficoltà. I nove punti su nove che la Roma ha fatto se li è dovuti sudare tutti. Non c’è stata una volta in cui la strada si è messa in discesa dall’inizio. Ha dovuto aspettare, pazientare, non disunirsi e poi colpire. Lo ha fatto sempre, dopo che negli ultimi due anni lo aveva fatto pochissimo. In due campionati, in 76 partite, la Roma aveva migliorato il risultato del primo tempo solo in 16 occasioni, ovvero appena nel 21 per cento dei casi. Dal pareggio alla vittoria, oppure dalla sconfitta al pareggio, o ancora dalla sconfitta alla vittoria, che poi è la vera rimonta e che abbiamo già visto essere accaduta solo quella volta a Siena. 16 su 76, contro 3 su 3, fa impressione.

Un conteggio impietoso per i predecessori di , in particolar modo per Luis Enrique che solo 3 volte su 38 aveva migliorato nel secondo tempo. Appena tre, vale la pena ricordarle: 25 settembre, Parma-Roma, come domenica scorsa, 0-0 all’intervallo, 0-1 alla fine col gol di Osvaldo. E poi 5 novembre, NovaraRoma, 0-0 all’intervallo, 0-2 alle fine con le reti di Bojan e ancora Osvaldo. Infine 11 aprile, RomaUdinese, dall’1-1 al 3-1 conclusivo quando ancora sembrava che qualche traguardo fosse raggiungibile.

Un po’ meglio è andata a Zeman prima e Andreazzoli poi: 13 le volte con punti guadagnati nei secondi 45 minuti, di cui 5 per il boemo. Con è un’altra musica. Magari presto arriveranno partite nelle quali la Roma andrà avanti subito, ma nel frattempo va benissimo così. Anzi, forse va anche meglio, perché vincere guadagnandosi ogni punto aiuta ad accrescere l’autostima. E’ successo e non sembra essere un caso. Perché nel calcio che ha in mente il caso non esiste. E’ il lavoro che porta i risultati, è la cura maniacale di tutti gli aspetti che funziona, sono insomma i dettagli a fare la differenza. Come quello dello scambio di informazioni col collaboratore Bompard che segue il primo tempo delle partite dalla tribuna e che aveva fatto clamore per la famosa telefonata dalla panchina contro il Livorno. Lui la questione l’aveva liquidata in un attimo: «La radio non funzionava. Abbiamo bisogno di parlare…». Sarà quello, saranno le indicazioni dei collaboratori o le parole di , il risultato è indiscutibile. Il risultato è una Roma che vince e convince anche se lui giustamente non appare mai soddisfatto. Eppure anche a lui il risultato di Parma ha dato gusto: «Mi piace vincere in rimonta, è una prova che la Roma gioca da squadra». Anche qui sono i numeri a dargli ragione, i numeri dell’analisi che la Lega fa di ogni partita. Basta scorrere fino a quando si parla dei passaggi, cifre su uno sfondo in bianco e grigio, ma che poteva essere anche in giallo e rosso. Perché ci sono solo romanisti: dai 66 passaggi di ai 65 di , dai 59 di ai 57 di . Dato significativo anche perché non fine a se stesso. Non tocchi sterili ma necessari per andare a colpire l’avversario, come spiega bene il 74,6 % di pericolosità a Parma di una Roma che prima mette alle corde l’avversaria e poi sferra il colpo letale. Uno, due, tre volte: e la rimonta è servita. Che se ci riesci è una grande cosa. Che ci sei riuscito. Che è stato grande