La penna degli Altri 27/09/2013 10:28
È una Roma testaccina e rugantina
Hanno un bel dire i minimalisti in giallorosso che finora non abbiamo fatto niente: la Chiesa è di nuovo al centro del villaggio, invece, e cinque vittorie dal pronti via non serano viste mai, da quando la Roma è la Roma, cioè da ventisette anni dopo che la Lazio fu Lazio direbbero i dirimpettai, il che, nei giorni della rottamazione che avanza, non è neppure un gran vantaggio. E di nuovo si percepisce il ritorno alla Fede: perché il calcio è anche una religione del nostro tempo. Questo ritorno alla fede giallorossa lo mostrano in campo e in panchina. E in tribuna e fuori. In campo vedi Borriello che sta in area, quella romanista, a difendere come farebbe Benatia e subito dopo in attacco, nellarea avversaria, dove si trova immediatamente Benatia, come farebbe Borriello, e segna calciando non rasoterra ma da sdraiato.
Non è solo al centro del villaggio, la Chiesa: è anche al centro dei nuovi strumenti di comunicazione e di dialogo fra i popoli, i social network. Gli hashtag con oggetto la Roma, nelle sue molteplici declinazioni, si sprecano. Vi si dedica anche Gervinho, lì detto Er Tendina, copyright di Zoro, mentre Teo Mammuccari ha appena confessato che Totti lo chiama La Scopa per via della somiglianza tricologica con Mocho. Non è solo al compagno vicino che ci si rivolge al momento del gol, né solo alla curva, ma al Mister, che sia in panchina al telefono o in castigo in tribuna, ed ai compagni di rosa che trascorrono il tempo della partita aspettando senza ansia lingresso ma pronti ad essere pronti quando ce nè la necessità.
È una Roma nuova, testaccina e sorniona, rugantina che estrae il coltello nel secondo tempo e puncica allora, dopo aver fatto sfiancare lavversario. Del resto Rudi Garcia, che magari non sapeva di Trastevere, è di origini andaluse e sa delle corride: i suoi toreri sono prima picadores e banderilleros e poi matano. La città giallorossa lha capito ed ha buttato nel secchio lultimo calcio visto, quello sparagnino di Ranieri, quello sfinimento orizzontale e lento di Luis Enrique, lo champagne svaporato di Zeman e quella Roma a porta spalancata.