La penna degli Altri 19/07/2013 10:22
Nela: "Sì, ora ho vinto la sfida più dura: quella col tumore"
Ci è arrivato molto vicino, quando il suo amico Rudi Voeller è diventato allenatore. Ma il tedesco è volato via dopo un mese. Sebino Nela ha combattuto una sfida terribile, contro il tumore. Otto mesi di inferno, di metastasi e di chemioterapie. Otto mesi di speranze e paure, di periodi durante i quali il fisico è stato debilitato dal bombardamento delle cure. Sebino era un idolo della Curva. «Picchia Sebino», ero lo slogan che lo accoglieva in campo, con lui che sfidava qualsiasi avversario mostrando i muscoli a petto in fuori. Lo stesso ha fatto con il tumore, lo ha sfidato e lo ha vinto. Questa è una grande storia da raccontare. Una storia che a chi scrive fa venire la pelle d'oca. Coetaneo di Sebino, calciatore diventato amico. Nela in questi giorni arriverà a Riscone, domenica sarà impegnato in una partita di beneficienza. Sarà l'occasione per ricevere l'applauso, l'abbraccio dei tifosi. Anche dei più giovani, che hanno visto le immagini di Sebino su un vecchio video o su un album delle figurine conservato dal papà.
Nela è stato uno di quei calciatori che ha segnato un'epoca. E' stato un simbolo del mondo del pallone. Uno che ha avuto una dignitosissima carriera, che non è diventata formidabile solo perché è voluto restare sempre se stesso. Senza compromessi. Ha detto no ai grandi club, quando era uno dei campioni più richiesti sul mercato. Oggi è bello poter raccontare la sua storia. Una storia di coraggio, che può regalare una speranza a chi lotta contro il male.
Sebino Nela, quante partite ha vinto nella sua carriera? Quanti ricordi di imprese sui campi di calcio si porta dietro? Oggi però facciamo gli spogliatoi della partita più importante, la partita della vita.
«Sì, il calcio è ancora il mio mondo, non posso dimenticare nulla di quello che ho fatto. Lo scudetto, le coppe Italia, la Nazionale. La maglia della Roma. Ma adesso finalmente posso dire di aver sconfitto l'avversario più duro: la malattia».
I vecchi compagni sapevano, gli amici e i tifosi giornalisti pure. Ma intorno alla malattia c'è sempre un alone di discrezione e pudore, forse anche un pizzico di ipocrisia. Lei oggi ne parla con serenità.
«Domenica tornerò in campo dopo diverso tempo, ma la mia partita più importante l'ho già vinta. Ho fatto la Tac pochi giorni fa: è positiva, i valori sono tutti tornati normali. Sono stato operato a novembre e venti giorni fa ho fatto l'ultimo ciclo di chemio. Il tumore l'ho preso di petto, con grande coraggio, senza paura. Non mi sono tirato indietro, come ho fatto in tutte le partite che ho giocato da calciatore. Non sono mai uscito da un campo di calcio con il rimpianto di aver tirato indietro la gamba».
Un periodo terribile, le ansie, la paura di non farcela. Lei ha continuato a stare in mezzo alla gente, è andato anche all'Olimpico, qualche mese fa, a raccogliere gli applausi dei suoi vecchi tifosi, in una passerella sotto la curva sud, la sua curva. Teatro di mille successi, di imprese di una Roma che non c'è più.
«Questa è la vita, ma non mi sono mai perso d'animo. Gli esami avevano evidenziato delle metastasi, è stato necessario l'intervento chirurgico. Non c'era tempo da perdere. Adesso posso dire che è andato tutto bene. Ora voglio riposare un po', la partita è stata lunga e faticosa. L'occasione dell'amichevole di Brunico mi consentirà di fare qualche giorno di vacanza nella località dove vado da dodici anni e che mi ricorda molti momenti felici della mia carriera di calciatore. E poi c'è il richiamo della Roma, non potevo dire di no».
La sua famiglia, come una squadra, dove conta fare gruppo, dove c'è chi fa gol e chi riesce a fermare l'avversario sulla linea di porta.
«Il sostegno che ho avuto dalla mia famiglia è stato fondamentale. Senza l'aiuto che ho avuto forse avrei chiesto il cambio alla fine del primo tempo. Invece ho trovato la forza di reagire. Una feroce forza di reagire. Che cresceva giorno dopo giorno. Perché non accettavo l'idea di far soffrire le mie figlie facendo vedere loro che stavo male. Quel pensiero mi ha spinto a mettercela tutta, a cercare ogni energia dentro me stesso. A non mollare. A crederci. Il fisico ha reagito bene. Ora voglio dirlo a tutte le persone che soffrono: la famiglia è fondamentale. Non bisogna chiudersi in se stessi».
Quando ha avuto il verdetto del male è stata una brutta botta...
«Sì, una mazzata tremenda. Purtroppo è capitato a me. E' stata la partita più importante, in gioco c'era la vita. Il calcio è un gioco. Un divertimento, anche se il calcio ha avuto un ruolo fondamentale per me. La partita vera è stata questa e ora posso dire che l'ho vinta io».
Lei ha dato una mano agli organizzatori per mettere insieme tanti ex campioni e dare vita alla partita amichevole di domenica.
«Ho raccolto volentieri l'invito di Roberto Muraro, ne abbiamo parlato per la prima volta in occasione di Chievo-Roma dello scorso inverno. Eravamo in tribuna, c'era ancora Franco Baldini alla Roma, era interessato per fini benefici a questo evento il procuratore di Bolzano. Quando mi hanno chiesto se potevo dare il mio contributo, ho offerto la mia disponibilità, mi fa piacere fare qualcosa che possa essere utile per chi soffre. Posso comprendere quanto sia preziosa la solidarietà».
Sarà l'occasione per rivedere vecchi amici in un momento particolare della sua vita.
«Sì, una fase importante, nella quale c'è la voglia di ricominciare. Ed è pieno di fascino anche il posto dove ci ritroveremo. Di Brunico ho tanti ricordi. Rivedere il campo dove ci allenavamo noi in quegli anni fantastici sarà una grande emozione. Stare a contatto con la squadra, conoscere il nuovo allenatore. Rivedere i tifosi, riabbracciarsi con i vecchi compagni... Qualcuno purtroppo non è potuto venire. Giannini per esempio da poco è il commissario tecnico della Nazionale del Libano. Per me sarà un tuffo al cuore. E il mio cuore è rimasto per la Roma. Adesso possiamo ripartire».